AGI – “Direi che l’atletica azzurra ha iniziato molto bene con la qualificazione di Tamberi nel salto in alto e i presagi sono positivi. Ci sono tanti giovani che si propongono con personalità e si stanno impegnando al massimo, ci fanno di nuovo innamorare di questo movimento. Confido sia l’edizione di una rinascita dell’atletica, ne abbiamo bisogno”.
A dirlo all’AGI è la ex altista olimpica Sara Simeoni, un oro e due argenti ai giochi olimpici, la prima donna a superare il tetto dei due metri nel 1978. Un augurio che arriva nel giorno in cui prendono il via le competizioni di atletica, nell’ultimo decennio un tasto dolente per la spedizione azzurra che a Tokyo cerca il riscatto.
L’ultimo italiano a vincere una medaglia alle Olimpiadi nelle discipline di atletica leggera è Fabrizio Donato, che a Londra nel 2012 arrivo’ terzo nella gara di salto triplo. Per l’ultima medaglia d’oro invece bisogna tornare a Pechino 2008 quando Alex Schwazer vinse la 50 chilometri marcia. Nel mezzo i giochi di Rio2016, terminati con zero medaglie, uno dei punti più bassi del movimento azzurro che dall’inizio del nuovo millennio non è più riuscito a rinverdire i fasti del passato.
Cosa c’è all’origine del tracollo dell’atletica nell’ultimo decennio? “Più un’impostazione sbagliata che una mancanza di atleti validi dal mio punto di vista. Le nuove leve – dice Sara Simeoni all’AGI – mi sembra abbiano capito che per fare i risultati ci vuole impegno, dedizione, sacrifici e scelte importanti. Mi sembra ci sia un ritorno alla concretezza, al duro lavoro in silenzio, non si vincono le gare a suon di followers o pubblicità. Probabilmente c’è stato un problema di approccio: non che avessimo atleti o tecnici inadatti ma c’era un andazzo che magari toccava tanti aspetti e tralasciava l’aspetto sportivo che è quello centrale”.
Che sensazioni ha per questa edizione?
“Positive – risponde – l’avvio è stata la qualificazione di Tamberi che era importante, io personalmente non avevo dubbi su di lei, e anzi devo dire che vedendolo saltare credo che possa fare bene in finale. Le qualificazioni sono sempre particolari, sei preso con la testa in modo diverso, in gara è un’altra cosa. Poi mi viene mente subito Battocletti che ha fatto una cosa bellissima: non solo ha passato il turno ma mi ha impressionato per come ha gestito la sua gara, dimostrando di sapersi gestire. Anche Sibilio è stato bravissimo, ed era in una serie con Warholm, è stato bravo a non lasciarsi trascinare e a prendersi la semifinale. Lo stesso vale per Bongiorni sui 100 metri”.
Chi tornerà a far sorridere il mondo dell’atletica? Il tridente di atleti su cui punta di più?
“Sicuramente Tamberi per il salto in alto: lui non gioca per il piazzamento ma per il podio. Poi credo nella velocità: i risultati ottenuti da Jacobs sono importanti e anche Tortu ha un’occasione per dimostrare il suo valore. E la marcia femminile con Palmisano e Giorgi, una specialità che ci ha abituato ad atleti che tirano il coniglio fuori dal cilindro”.
Che cambiamenti servono alla Fidal per sostenere la crescita degli atleti?
“Le difficoltà arrivano dopo le Olimpiadi, bisogna accompagnare gli atleti che ha ottenuto risultati in un percorso di crescita sano e ma non eccessivo. A volte per partecipare alle gare gli atleti si sono spremuti un po’ troppo, chiudendo spazi per favorire un ricambio generazionale e rischiando di perdersi per strada anche atleti su cui si puntava molto. Oggi c’è molta più esigenza di spettacolo, tante competizioni, lo trovo un po’ esagerato perchè si va ad esasperare un’attività che poi può diventare stressante. Come nel caso della Biles, divenuto esemplare”.
Un fattore di stress ‘esterno’ è la pandemia che ha generato un’Olimpiade blindata e senza pubblico. Che impatto ha avuto sugli atleti? “
Sicuramente è stato un momento destabilizzante per gli atleti, ma abbiamo già avuto modo di vederli in gara senza pubblico nel corso dell’ultimo anno e un po’ si sono abituati. Certo lo stadio vuoto per l’atletica è di una tristezza indicibile, manca il tifo, il sale dello sport, pero’ già il fatto di vedere gli avversari costituisce una motivazione. La cosa peggiore è la premiazione con mascherina e senza abbracci, è pesante. Il virus ci ha tolto il contatto umano e le emozioni che in quel momento sono destinate a diventare indimenticabili”.
Source: agi