Sanità, Regioni vs Stato. Quale autonomia?


Di Ettore Minniti

La crisi pandemica ha sparigliato le certezze acquisite in tema di autonomie della Repubblica. Si parla già di rivedere il titolo V della Costituzione soprattutto in tema di gestione della sanità decentrata. Lart. 5 della Costituzione recita: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento’. L’argomento ‘autonomia’ ha caratterizzato i programmi dei partiti e dei movimenti politici durante la Resistenza; è stato fra le questioni centrali del dibattitonell’Assemblea Costituente; ha costituito a più riprese, nei vari periodi della lotta politica durante lultimo cinquantennio, argomento di riflessione e di dibattito nelle riviste giuridiche, fra le forze politiche nelle aule parlamentari; è stato oggetto di disegni e di proposte di legge; oggi si parla di autonomia differenziata.

La situazione emergenziale sanitaria di questo periodo e la sua gestione ha rimescolato tutto e tutto è stato rimesso in discussione, tra accuse e controaccuse di inefficienza reciproche tra Governatori di Regione e Governo, ministri, commissari e consulenti.

Prima di cominciare a discutere sul futuro assetto del Paese, al termine di questa pandemia planetaria, occorre riflettere sul nostro recente passato e su quello che è stato il pensiero dei nostri padri costituenti sulle autonomie locali.

Possiamo senz’altro affermare che il decentramento, l’autonomia, il federalismo sono stati preminenti nel pensiero e nell’opera di Luigi Sturzo. Egli ebbe un costante interesse per il municipio, e in generale per i problemi concernenti la vita degli enti locali.

Il tema della ‘autonomia’ sinserisce in quel lungo dibattito sulla forma istituzionale da dare allo Stato italiano risalente al periodo del Risorgimento e poi continuato subito dopo l’unificazione e che ha in Luigi Sturzo uno dei principali protagonisti. Infatti, comè noto, nonostante i forti stimoli autonomisti, la legislazione del nuovo Stato unitario fu fortemente accentrata e si limitò a concedere ai comuni una sorta di decentramento burocratico e amministrativo. Secondo Sturzo lo Stato, nel momento in cui va oltre i suoi confini, i suoi compiti, diviene onnipresente, unica fonte di eticità, preludio a ogni forma di totalitarismo sia esso classista che nazionalista. Ed è proprio contro questo tipo di Stato che Sturzo indirizza le sue critiche elaborando un progetto di società e di Stato di cui egli stesso si fa sostenitore, impegnandosi di persona per la sua realizzazione. Dal Municipio finoall’Europa delle Regioni, tenendo sempre presente, com’è nella tradizione cristiana, la centralitàdella persona umana. Istituzioni quali il municipio, la provincia, la regione, la federazione devono operare a tutela della dignità e dei diritti degli individui e per la realizzazione del bene comune.

Per evitare lo statalismo e ogni forma di totalitarismo quale miglior rimedio se non il decentramento. E’ l’intuizione sturziana: l’autonomia da lui non fu mai intesa come scalata al potere o come un semplice trasferimento di decisioni dal centro in periferia, trasportando qui il centralismo dello Stato, della Regione o della Provincia. Libertà e autonomia, proprio perché sono un diritto primario della persona, costituiscono un pre-requisito per risolvere i problemi politici, economici e sociali. L’originaria intuizione sturziana fu quella di ancorare l’impegno politico nel cuore istituzionale dello Stato post-unitario, dentro l’amministrazione locale in cui si gioca la prima e vera partita della partecipazione civica e  civile, quell’autentica scuola di democrazia dove il confronto con i problemi  concreti  della comunità locale impedisce, o rende comunque più difficile,  la  caduta  in  quel professionismo della politica che proprio in quegli anni già si  preannuncia  nelle coscienze più attente.

In altri termini, l’autonomia rappresentava per Sturzo ‘il prerequisito imprescindibile di una corretta amministrazione’. Gli enti locali non potevano essere ridotti a un mero ‘ente burocratico’, e per far ciò era necessaria l’autonomia e un ampio decentramento funzionale agli interessi in armonia con lo Stato che non può essere invadente.

Se il pensiero sturziano è ancora valido nella società odierna, allora è possibile cominciare a rivedere o discutere sull’assetto costituzionale delle autonomie Repubblicane, tenendo presente che lo statalismo ha effetti collaterali disastrosi, più di quanto l’odierna diatriba sulla gestione della sanità ha prodotto.