Saman: pm, ergastolo genitori e 30 anni per altri


Ergastolo più due anni di isolamento diurno per i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, 30 anni per lo zio Danish Hasnain e per i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq. Il padre e la madre l’hanno pensato, lo zio l’ha eseguito, i due cugini l’hanno seppellita. Tutti in un modo o nell’altro hanno contribuito al “più atroce, malvagio e aberrante dei delitti che si possa concepire, quello commesso dai genitori in danno della figlia e con la collaborazione dello zio e dei cugini”. Dopo nove mesi di processo, attraversato da colpi di scena (alcuni verbali annullati per errori tecnici) e nervosismi, il procuratore Gaetano Calogero Paci e la pm Laura Galli distribuiscono ruoli e richieste di condanna al termine della requisitoria nel processo per l’omicidio di Saman Abbas, uccisa a Novellara il 30 aprile 2021 per il suo “anelito di libertà”. Vittima come lo sono state le donne che hanno cercato di rompere gli schemi della criminalità organizzata. I magistrati ‘avvicinano’ il delitto della ragazza “uccisa perché rifiutò un matrimonio forzato con un uomo più grande di lei di dieci anni in Pakistan” a scenari a noi noti, individuando nella famiglia della diciottenne una sorta di “‘ndrina” che aveva “la necessità di mantenere compatto il fronte familiare e parentale” fino al sacrificio di una figlia che l’ha disonorata. E, se anche fosse stata la religione la spinta che ha animato gli imputati, chiariscono i pm, “c’è comunque l’aggravante dei motivi abietti e futili” perché è troppo vasta la “sproporzione” tra il delitto e la percepita ‘offesa’ al culto. E c’è pure la “premeditazione” perché nella sceneggiatura delineata dai pm uccidere Saman è stato un progetto organizzato nei dettagli e maturato lentamente. La figura delle diciottenne troneggia nella requisitoria col procuratore che arriva a definire “toccanti” le ultime conversazioni nelle quali, ormai piena di presagi, smarrita nella casa di famiglia dove cercava i documenti per scappare, esprimeva sofferenza e il sentimento di essere stata abbandonata da tutti, perfino dal fidanzato Saqib. Paci allarga il campo tanto da farla diventare “figura universale”. Saman “aveva un enorme anelito di vita e una forza sovversiva che esercitava inconsapevolmente: voleva solo vivere la sua vita, camminare mano nella mano per le strade di Bologna, scambiarsi un bacio. In fondo esprime la contraddizione eterna dell’individuo tra libertà e desiderio di vita e repressione, autoritarismo e soffocamento di ogni desiderio di autonomia”. Ed ecco che viene affiancata, lei, straniera in vita ignorata dagli italiani, un fantasma “che viveva solo sui social, al massimo usciva a fare una passeggiata con la madre”, a dei simboli femminili come “Rosalia Pipitone, uccisa a Palermo dal padre che organizzò una finta rapina da parte di due uomini di Cosa Nostra, Francesca Bellocco che viene uccisa dal figlio perché aveva una relazione extraconiugale e Maria Concetta Cacciola, costretta dai familiari nel 2011 a ingoiare acido muriatico”. La ragazza che è rimasta sotto terra per un anno e mezzo nelle campagna emiliana è la vera protagonista dell’ultimo atto dell’accusa nella prospettiva di “restituirle giustizia”. Due le “fondamenta” del processo che, ammette Paci, “non ha una prova regina ma una molteplicità di elementi probatori”. Uno è il video in cui si vede Saman uscire di casa e poi scomparire, “la prova che i genitori hanno consegnato la figlia in mano agli assassini”. L’altro la perizia che identifica la pala utilizzata per scavare la profondissima buca in quella trovata a casa di zio e cugini. Proprio l’aver consentito agli inquirenti di ritrovare le spoglie di Saman, ha fatto guadagnare all’uomo che l’avrebbe strozzata di ottenere le generiche equivalenti alle aggravanti. Stesso trattamento per i giovani cugini a cui sono state riconosciute la giovane età e la subalternità allo zio che, parola del fratello di Saman, li picchiava. Al momento delle richiesta, imputati glaciali. Nel frattempo si cerca ancora la madre Nazia, in Pakistan. (AGI)
MAD