AGI – Troppi punti deboli e vantaggi difficilmente quantificabili. L’ipotesi di rimuovere la Russia dal sistema Swift potrebbe avere, per l’Occidente, conseguenze difficilmente gestibili, e avvicinare ulteriormente Russia e Cina in una partnership caratterizzata, su livelli ancora più alti di quelli attuali, dall’acrimonia verso l’Occidente.
L’ipotesi di escludere la Russia dal sistema dei pagamenti internazionali era già stata avanzata nel 2014, dopo l’annessione della Crimea, e in seguito accantonata. E l’operazione non appare, oggi, più praticabile di allora.
Secondo persone al corrente della questione citate dal quotidiano tedesco Handelsblatt, l’ipotesi di Stati Uniti e Unione Europea sarebbe nuovamente tramontata per il timore di destabilizzazione dei mercati finanziari internazionali nel breve termine, e per il rischio del sorgere di un’alternativa al sistema che regola le transazioni internazionali non più guidato dall’Occidente.
Una soluzione alternativa all’esclusione della Russia dal sistema Swift, per Washington e Bruxelles, potrebbe essere quella di misure mirate contro le grandi banche russe, nel caso di un’aggressione di Mosca: l’eventuale inserimento degli istituti finanziari russi in una black list di Washington avrebbe ripercussioni simili a quelle di un’esclusione dal sistema Swift, secondo l’Economist, ma senza minare l’architettura finanziaria mondiale.
Anche in questo caso, però, il rischio di una ritorsione di Mosca è, elevato: l’esclusione porterebbe Mosca ad accelerare sul sistema alternativo Spfs per le transazioni con i propri partner, e a farne le spese sarebbe l’Occidente, per le dimensioni dell’economia russa, più del doppio di quella di qualsiasi altro Paese a cui gli Stati Uniti abbiano imposto sanzioni, come Cuba, Iran o Myanmar.
Inoltre, ogni Paese con relazioni difficili con gli Usa cercherebbe un’alternativa al sistema Swift, erodendo la supremazia finanziaria degli Stati Uniti: la Cina stessa potrebbe vedere l’esclusione della Russia come una “prova generale” per spingere sul proprio sistema Cips, rivale di Swift e in rapida ascesa, anche se su livelli di transazioni per ora molto più bassi, (310 miliardi di yuan al giorno in media, equivalenti a circa 50 miliardi di dollari, contro i circa 400 miliardi di Swift).
L’esclusione della Russia dal sistema Swift, secondo quanto riportato dalla Bloomberg, sarebbe una sorta di “linea rossa” da non oltrepassare per diversi Paesi dell’Europa occidentale, che sarebbero più inclini, invece, a misure finanziarie contro la Russia da introdurre gradualmente. L’esclusione delle banche russe dal sistema Swift potrebbe, inoltre, avere come risultato quello di avvicinare ulteriormente Russia e Cina, che già nel 2014, con il maxi-accordo sul gas firmato durante la prima crisi ucraina, avevano rafforzato l’intesa, proprio nel momento più difficile, fino a oggi, dei rapporti tra la Russia e l’Occidente. I numeri della cooperazione hanno contribuito a rafforzare l’intesa tra Mosca e Pechino: nel 2020, le esportazioni russe verso la Cina hanno raggiunto quota 57 miliardi di dollari (con stime ancora più alte per il 2021), contando per circa il 4% del prodotto interno russo, circa il doppio dei livelli precedenti al 2014.
La cooperazione in materia finanziaria è un tema che si trascina da anni nei legami tra Mosca e Pechino, soprattutto per ridurre il peso del dollaro nelle transazioni internazionali. Il tema è ritornato a galla il mese scorso, nel vertice in video-conferenza tra Putin e Xi in cui i due leader hanno rafforzato l’intesa in vista delle Olimpiadi Invernali di Pechino al via il mese prossimo, mentre la situazione in Ucraina si stava surriscaldando per i timori russi di un allargamento a est della Nato e per il dispiegamento di armamenti russi al confine con l’Ucraina. I presidenti di Russia e Cina hanno discusso di una “infrastruttura finanziaria indipendente” per le operazioni commerciali dei due Paesi, ha dichiarato il consigliere diplomatico di Putin, Yuri Ushakov, al termine del vertice, e i due leader “si sono espressi a favore dell’aumento della quota delle valute nazionali negli accordi reciproci” allo scopo di “estendere la cooperazione e garantire agli investitori russi e cinesi l’accesso ai reciproci mercati azionari”.
In questa difficile equazione, un ruolo non di secondo piano potrebbe averlo l’Iran, di recente impegnato a consolidare i buoni rapporti con Russia e Cina. Settimana scorsa è entrato ufficialmente in vigore il maxi accordo di cooperazione firmato lo scorso anno con Pechino, durante la visita in Cina del ministro degli Esteri di Teheran, Hossein Amir Abdollahian: l’accordo prevede una cooperazione di 25 anni in campi che vanno dall’energia alle infrastrutture, fino alla scienza e alla medicina, in cambio di forniture stabili di greggio iraniano alla Cina. Sempre nei giorni scorsi, il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, durante un colloquio con Putin, ha dichiarato di volere sviluppare una relazione “permanente e strategica” con Mosca e una “sinergia significativa” contro “l’unilateralismo statunitense”.
Source: agi