Ruffini e la memoria di De Gasperi, no a steccati e sudditi


“Le etichette creano steccati”. È il primo concetto che Ernesto Maria Ruffini ha affidato alla riflessione dei 43 allievi e dei tutor nel primo appuntamento del nuovo anno di ‘Polity Design’, la Scuola di Classe dirigente cattolica nazionale riconosciuta dalla Cei, fondata e diretta da Luigi Ferraiuolo, che ha sede a Caserta nel Palazzo Vescovile. Una lezione-fiume ,quella di Ruffini, indicato da più parti come un possibile ‘federatore’ del centrosinistra, durata dalle 9.30 sino alle 14, punteggiata da decine di domande degli allievi e da diversi applausi scroscianti nella biblioteca del Seminario arcivescovile.
“È importante sapere cosa fare, e non come, o meglio il come viene in un secondo momento”, dice l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate rispondendo allo studente che gli chiede come possono riorganizzarsi i cattolici in politica. “In Italia il modo migliore per restare soli è fondare un partito – aggiunge – ciò che vorrei è parlare di diritti, come quello di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione, e ancora non pienamente attuato. Andare a Milano (il prossimo 18 gennaio, su invito dell’associazione Comunità democratica che fa capo a Graziano Delrio e Romano Prodi, ndr.) vuol dire confrontarsi su idee e valori”. E di uguaglianza ha parlato a lungo nel corso del suo incontro con gli studenti. Ruffini infatti era stato chiamato a ripercorrere le discussioni parlamentari che hanno accompagnato le leggi più significative della storia della Repubblica dal 1948 in poi.
“L’uguaglianza è alla base del nostro vivere insieme – sottolinea – l’uguaglianza è un modo come un altro per ricordarci perché siamo una comunità, perché siamo un Paese, che cosa c’è alla base dell’essere una comunitá. E l’ uguaglianza per la Costituzione ci riporta indietro nel tempo a quando il principio di uguaglianza è stato scritto”. (AGI)
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Pubblicato: 11/01/2025 18:49
(AGI) – Caserta, 11 gen. – “Ma prima di arrivare a quella stesura, lo sappiamo, in questo Paese c’era stata una guerra – continua – prima di quella guerra c’era stata una dittatura con una privazione delle libertà delle persone. Quel ventennio dove c’era la repressione degli oppositori, non si poteva contestare chi deteneva il potere, erano stati sciolti tutti i partiti, non c’era la libertà di stampa, venivano utilizzati la radio e il cinema come mezzo di propaganda. Venivano perseguitati tutti quelli che non appartenevano a un canone, poi quella dottrina ci porta alla guerra. Quella dottrina copiata in Germania con la nascita del nazifascismo”.
“Finisce la guerra – riprende Ruffini – e noi nella nostra retorica diciamo che la nostra Repubblica è fondata sulla Resistenza: su 46 milioni di italiani, la Resistenza l’hanno fatta all’inizio 40mila ragazzi”.
“Mio padre era un partigiano preso dai nazisti – rivendica – su 46milioni, 300mila persone hanno fatto la differenza. E questo ci restituisce l’idea di come una minoranza può fare la storia. È la minoranza che innesca un cambiamento, nella storia è sempre stato così. Con la Resistenza si sceglie di chiedere agli italiani se si vuole continuare così con una monarchia o si vuole provare un’altra pagina di storia”. Ruffini cita poi De Gasperi, “che riunisce un gruppo di persone a Roma per illustrare e discutere il senso del referendum, e rivolge a loro una domanda che ogni cittadino dovrebbe ripetersi la mattina, tra qualche settimana ci verrà chiesto di esprimere la nostra preferenza tra monarchia e Repubblica, in realtà la domanda è mal posta poiché la vera domanda che ci verrà sottoposta è un’altra: voi italiani siete disposti a smettere di essere sudditi e diventare cittadini con la consapevolezza che per diventare cittadini vi assumete la responsabilità della futura storia di questo Paese, assumendo la responsabilità delle scelte fino alle più alte cariche dello Stato, ma sapendo anche che dovrete dedicare parte della vostra vita a curare il bene comune perché da quella cura dipende la storia di questo Paese, siete pronti a prendere questo impegno per voi e per le generazioni che verranno? Se siete davvero pronti sapete cosa rispondere, se non lo siete è preferibile rimanere sudditi perché il suddito ha la possibilità di attribuire la responsabilità di quello che non va ai suoi cortigiani, alla sua corte’”.
“Ma la tendenza a comportarci come sudditi, pur essendo cittadini in qualche modo ci è rimasta perché attribuiamo la responsabilità ad altri senza renderci conto che dalle nostre scelte di ogni giorno dipende la società in cui siamo”, è la ‘lezione’ di Ruffini. (AGI)
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