“In questo momento c’è un pericolo per le democrazie, compreso il Paese che chiamo casa, cioè gli Stati Uniti. E quello che ho detto in ‘Reading Lolita’ è che il pericolo per l’Occidente è quello che Saul Bellow chiama ‘l’atrofia del sentimento’ e ‘il sonno della coscienza’. Questo è ciò che minaccia l’Occidente: il fatto che diventiamo indifferenti, che ci svegliamo al mattino e non pensiamo che qualcuno sta morendo per le proprie opinioni mentre parliamo. Ecco cosa fa questo film. Ci ‘fa sentire’, ci disturba perché gli artisti sono qui per disturbare non per coccolarvi. Non sono qui per darti conforto, ma per farti mettere in discussione, non solo il mondo, ma anche te stesso. E mentre guardavo questo film, c’erano aspetti di me stessa che non mi piacevano così tanto. Ed è proprio questo quello che un buon film fa su di voi, ti fa venire voglia di cambiare”. Lo dice la scrittrice Azar Nafisi, autrice del bestseller ‘Rading Lolita in Tehran’ (‘Leggere Lolita a Teheran’ edito in Italia da Adelphi), durante la presentazione alla stampa dell’omonimo film di Eran Riklis con protagonista Golshifteh Farahani che oggi sarà in concorso alla Festa del Cinema di Roma (presentazione in sala Petrassi alle ore 19) prima di uscire in sala il 21 novembre distribuito da Minerva Pictures.
Azar Nafisi tornò negli Stati Uniti nel 1997 per insegnare all’università di Washington. ‘Leggere Lolita a Teheran’ racconta la lotta della protagonista per trasmettere bellezza e cultura agli studenti sempre più catechizzati dopo la rivoluzione di Khomeini nel 1979 e, una volta lasciato l’insegnamento pubblico, condividere i suoi seminari settimanali con le sue sette allieve migliori. In precedenza, in un incontro ristretto con la stampa, la scrittrice si è soffermata a parlare della situazione in Iran dove, ha detto, “il regime sta uccidendo le persone per le strade, sparando proiettili negli occhi della gente per accecarla. Abbiamo questa violenza, ma purtroppo è la violenza che attira l’attenzione del mondo – ha aggiunto – i media purtroppo parlano solo della violenza. Quando ho lasciato l’Iran mia madre mi ha detto: glielo parlare. Intendeva dire: parla di noi. Perché la Repubblica islamica vorrebbe far credere alla sua popolazione che il mondo non si preoccupa di lei – ha aggiunto – che il mondo non vuole sentir parlare degli iraniani, che il mondo crede nei tiranni che opprimono. E cosa ha fatto il popolo iraniano? Ha creato speranza – ha spiegato la scrittrice – si è rifiutato di diventare come l’oppressore”.
Azar Nafisi ha spiegato poi che le donne iraniane hanno deciso di protestare senza usare la violenza. “Che cosa fanno? Cantano. Vanno per le strade dove c’è il rumore dei proiettili. E accanto ai proiettili – ha detto – c’è il suono della musica, della danza e della vita. Il loro slogan è: donna, vita, libertà”.
“Queste ragazze sono le eredi del coraggio delle loro madri, delle loro nonne – ha proseguito – di quelle donne che sono scese in piazza a Teheran all’inizio della rivoluzione e hanno protestando contro l’imposizione del velo. La libertà non è né orientale né occidentale, la libertà è universale. Questo era ciò che volevo raccontare col mio libro – ha aggiunto la scrittrice iraniana – volevo che l’Occidente sapesse che il governo israeliano e quello iraniano stanno facendo delle guerre, non solo nella loro terra, ma nella regione, nel mondo intero. Noi, il popolo, dovremmo fare come queste ragazze nel libro e sul campo. Noi, tutti noi, dovremmo trasmettere il messaggio che l’odio non funziona – ha aggiunto – che l’amore funziona, che l’umanità ne ha bisogno. Questo mi rende molto felice”. (AGI)