Una modesta proposta: invece che ai magistrati, affidiamo il controllo su come viene usato il denaro dei contribuenti all’intelligenza artificiale Alla fine delle complesse trafile della Corte, non c’è una vera e propria sanzione, se non pecuniaria. Il vero potere è nel pubblico ministero Nel General Accounting Office americano ci sono giuristi ma anche economisti, statistici, ingegneri. I magistrati non sono onniscienti La burocrazia è d’impaccio perché è rimasta fuori dalla quarta rivoluzione industriale. I cronisti politici rievocano le ire funeste di Matteo Renzi contro la Corte dei conti, la Ragioneria e persino il Consiglio di stato che facevano le bucce ai provvedimento del suo governo. Niente lacci né impacci. Il commissario del popolo sovrano deve rispondere solo alla volontà generale che è chiamato a interpretare. Nel secolo dei populismi torna Rousseau mentre va in pensione Montesquieu? I cattivi maestri dei nostri giorni la pensano così, ma continuano a essere vittime del passato. E se invece gettassimo lo sguardo, la mente, il cuore verso il futuro? Avanziamo una modesta proposta, meno provocatoria, senza dubbio meno cruenta di quella ideata da Jonathan Swift: invece che ai magistrati, affidiamo il controllo su come viene usato il denaro dei contribuenti all’intelligenza artificiale.
Il castello dei controlli burocratici, amministrativi, giudiziari, in Italia è davvero imponente e barocco, dalla Corte costituzionale al Consiglio di stato, dalla Corte dei conti alla Ragioneria generale, dalla Banca centrale alla Vigilanza, le magistrature parallele e quelle locali, poi le autorità più o meno indipendenti, forme nuove di ispirazione antica, impalcature che si sono aggiunta senza che le vecchie venissero smontate. La prima è la Consob nata per vigilare sul comportamento delle società quotate in borsa, la più importante per i cittadini è quella che deve tutelare la concorrenza, l’antitrust, l’ultima nata è l’anac, l’authority contro la corruzione, in mezzo ce ne sono altre: il Garante della privacy e quello dei prezzi, l’ivass (assicurazioni), la Covip (fondi pensione), l’agcom (telecomunicazioni), l’autorità dei trasporti, l’aeeg (energia). Tutte insieme hanno 2.300 dipendenti e costano, secondo le stime, oltre 600 milioni l’anno.
La necessità di porre limiti al Principe non è certo nuova, risale al medioevo e prima ancora alla Repubblica romana. Nemmeno gli imperatori hanno mai abolito il Senato, lo hanno solo depotenziato. E come la maggior parte di quelle riforme, ha subito una metamorfosi che spesso ha prodotto un’eterogenesi dei fini. Chi doveva essere difeso e protetto dalla culla alla tomba è finito vittima di un ingranaggio micidiale, troppo costoso e spesso incontrollabile, il cui effetto oggettivo (talvolta persino voluto) è una foresta pietrificata.
Prendiamo lo stesso Consiglio di stato discendente dal Consilium principis che un tempo aveva una funzione politica. L’articolo 100 della Costituzione (lo stesso che regola anche la Corte dei conti) lo definisce “organo di consulenza e di tutela della giustizia dell’amministrazione”, in altri termini può allo stesso tempo aiutare il governo e bacchettarlo. Come la Corte dei conti, è una eredità sabaudo-napoleonica.
Negli Stati Uniti, il General Accounting Office ha una piccola squadra di giuristi (appena il 5 per cento dei laureati in servizio) gli altri sono economisti, statistici, ingegneri e perfino fisici, agronomi, biologi; a differenza dall’italia che si autoproclama patria del diritto, nel mondo anglosassone l’onniscienza non s’addice ai magistrati. Se si volesse adottare quel modello andrebbero escluse le implicazioni di responsabilità contabile (le segnalazioni alle procure della Corte dei conti) e andrebbe drasticamente rivista la composizione dei collegi, sostituendo i giuristi con tutte le altre professionalità necessarie. Nel 1997 Franco Bassanini provò a riservare almeno un quinto dei posti (lo definì un “minimo sindacale”) nei concorsi per diventare consiglieri della Corte dei conti ai laureati in economia, statistica e ingegneria gestionale. Ma la stessa Corte rispose bocciando tutti i relativi candidati nei concorsi successivi, perché non in grado di superare gli esami scritti previsti che, ça va sans dire, erano concentrati su materie giuridiche. Allora fu resistenza passiva, oggi è rivolta aperta; resistere, resistere, resistere.
Non sempre i magistrati contabili hanno le unghie spuntate. La Corte dei conti è stata protagonista della partita attorno al Mose che nel 2017 ha portato alla condanna di Giancarlo Galan, ex presidente della regione (doveva restituire 5,8 milioni di euro) e Patrizio Cuccioletta, magistrato delle acque (2,7 milioni). Alla guida della sezione veneta era Guido Carlino che dal 2020 è presidente della Corte. Nel dispositivo della sentenza ha scritto che c’è stato “un formidabile disprezzo dei valori fondanti il rapporto di impiego pubblico”, tale da ridurre il prestigio e la reputazione della Pubblica amministrazione. Carlino è stato protagonista anche nella sua Sicilia (è nato a Canicattì) di uno scontro sul bilancio: ha bocciato i conti chiedendo di ripianare il buco di 2,2 miliardi in tre anni e non in dieci come pianificato dal governo regionale. “Apporteremo i dovuti correttivi”, ha replicato il presidente Renato Schifani. Wait and see.
La cultura del controllo in Italia è confusa con la cultura dell’autorizzazione amministrativa spesso paralizzante e inefficace. Cominciamo dal bilancio dello stato. La spesa pubblica in rapporto al prodotto lordo aveva raggiunto nel 1999 la quota minima del 45 per cento che certo non era poco nemmeno a confronto con altri grandi paesi europei. Nel 2008 era salita già oltre il 50 per cento, per arrivare al picco del 58 nel 2020 a causa dei sostegni e degli aiuti contro la pandemia che sono stati pari al 3,7 per cento del pil. Se escludiamo l’effetto del Covid siamo comunque a un aumento del 10 per cento. Tutte spese necessarie? E’ migliorata la sanità, si sono costruite o ristrutturate più scuole, i servizi funzionano meglio, è possibile avere in tempi ragionevoli la carta d’identità? La Ragioneria bollina, la Corte dei conti rimbrotta, il Consiglio di stato suggerisce, la Corte costituzionale vigila che non sia violata l’aurea norma secondo la quale ogni nuova spesa sia coperta da nuove entrate: l’articolo 81 secondo il quale “lo stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio” che è stato introdotto nel 1981 quando l’euro era di là da venire. Eppure nessuno è in grado di fermare la corsa verso l’abisso del debito sovrano che fra due anni sarà il primo d’europa rispetto al pil, superando anche la Grecia, il terzo al mondo dopo Giappone e Venezuela.
E le autorità indipendenti fino a che punto esercitano la loro autorità? L’inflazione ha messo sul banco degli accusati il Garante per la sorveglianza dei prezzi (sì, anche se non molti se ne sono accorti esiste anche lui). “Mister Prezzi” è venuto alla luce nel 2008 quando non ce n’era bisogno (ammesso che serva davvero). Lui come tutti gli altri garanti, a cominciare da quello dell’energia, vengono trasformati in paraventi, ma son fatti di carta da riso. E’ arrivato il momento di sottoporre a un check-up le istituzioni nate con la lodevole intenzione di sorvegliare e punire, affinché il gioco a rimpiattino tra stato e mercato, tra interesse pubblico e privato avvenga in modo equo.
Meno bollini più risultati. Se questa diventa la pietra di paragone, allora la querelle sul controllo ex ante, contestuale o quel che sia, per quanto appassioni i giuristi, passa in secondo piano. Quel che conta davvero è che il cane da guardia tenga lontani i malintenzionati, che sia in grado di abbaiare al momento opportuno così da incutere davvero rispetto e richiamare l’intervento del padrone. In Italia quando è accaduto, pochi se ne sono davvero accorti. La burocrazia è d’impaccio perché è rimasta fuori dalla quarta rivoluzione industriale, è questa la lezione che viene dalle difficoltà di “mettere a terra” il Pnrr, anche se nessuno sembra voler trarne le conseguenze.