Di Fedra Negri,Silvia Degradi,Luigi Curini
In Parlamento esiste una sorta di “segregazione di genere”, con le donne che si occupano spesso di temi legati alla famiglia. Né basta aumentare il numero delle parlamentari per cambiare prospettiva. I risultati di una ricerca sui dibattiti alla Camera.
Donne in politica
La politica italiana, nell’ultimo anno, sembra essersi tinta di rosa. I volti della maggioranza di governo e dell’opposizione sono quelli di due donne, benché molto diverse tra loro e nel modo col quale rivendicano il proprio essere donna: Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Sul tema donne e politica, tutto risolto quindi?
Purtroppo, no: gli stereotipi e le discriminazioni di genere che si rintracciano nel mercato del lavoro e nelle relazioni sociali trovano spazio anche in politica e rendono la professione di politico più impegnativa se a svolgerla è una donna.
Lavori empirici condotti nelle democrazie occidentali hanno mostrato, ad esempio, che le donne, per essere candidate a una posizione elettiva, devono in media soddisfare requisiti più elevati e competere in contesti più complessi rispetto agli uomini. Ma le difficoltà non finiscono col reclutamento. Le donne che riescono ad accedere a incarichi politici e istituzionali tendono a essere confinate in posizioni di minor prestigio e a occuparsi di tematiche di più basso profilo rispetto ai colleghi uomini.
Se ci concentriamo sui parlamenti, poi, numerosi studi hanno messo in luce come, nelle principali democrazie occidentali, le donne tendano a intervenire più raramente, a fare discorsi più brevi e siano più spesso interrotte. Si riscontra, infine, una specializzazione di genere su diverse aree di policy, che in parte riproduce lo stereotipo che vuole le donne più competenti in materie riconducibili alla sfera domestica e della cura, e gli uomini più competenti in materie legate alla sfera pubblica.
La specializzazione di uomini e donne
In un articolo appena pubblicato in open access sulla rivista scientifica Politics & Gender, abbiamo misurato l’attenzione che i deputati italiani rivolgono a diversi temi di policy nelle sedute plenarie della Camera dei deputati dal 1948 al 2020. In particolare, abbiamo utilizzato metodi di analisi del testo automatizzata per scoprire di cosa parlano (topic modelling) i parlamentari e che linguaggio utilizzano per farlo (word embeddings).
Come sostenuto dalla Social Role Theory, i risultati mostrano che, a parità di altre condizioni (ad esempio, commissione di appartenenza e seniority del parlamentare), gli uomini parlano di più di aree quali economia e finanza, affari interni, attività produttive e difesa; le donne invece si concentrano maggiormente su ambiente, educazione e cultura, lavoro e politiche sociali (figura 1). Si coglie quindi una “segregazione di genere” che vede le donne occuparsi di aree di policy riconducibili alla sfera privata della casa e della famiglia; mentre gli uomini si dedicano a quelle riconducibili alla sfera pubblica, al potere economico e alla competizione.
Figura 1 – Effetto di essere donna sulla probabilità di parlare di diverse aree di policy
La specializzazione si supera (spesso) con più donne in Parlamento
La specializzazione di genere su diverse tematiche tende a svanire all’aumentare della percentuale di donne nei gruppi parlamentari, in linea con le aspettative della Critical Mass Theory. In particolare, quando la percentuale di donne si avvicina o supera il 30 per cento, la predominanza maschile nelle materie affari interni, attività produttive e difesa svanisce. Arene legislative più bilanciate garantiscono quindi una più equa distribuzione dell’attenzione di uomini e donne su molti argomenti di policy.
Fa eccezione economia e finanza. I nostri risultati dicono, infatti, che nonostante l’aumento significativo del numero di donne in Parlamento, quest’area rimane terreno quasi esclusivamente maschile. Ciò è degno di nota: economia e finanza è, infatti, una sorta di super-issue, che ingloba al suo interno tutti i discorsi riferiti alle scelte di spesa in diversi settori.
I numeri da soli non bastano, servono donne motivate
Mostrare che le donne affrontano nei loro discorsi aree di policy prima a predominanza maschile non basta. Bisogna anche indagare “come” le affrontano, portando avanti quali istanze. Per farlo, abbiamo misurato quanto diverso sia il vocabolario usato dagli uomini e dalle donne nei diversi settori. Usare un vocabolario diverso può infatti essere considerato una buona proxy per dire che le donne riescono a introdurre istanze diverse in una data area di policy. Intuitivamente, se nel parlare di difesa, le parole usate dalle donne sono sistematicamente diverse da quelle usate dai colleghi uomini, vuol dire che i due generi enfatizzano sotto-tematiche diverse. I risultati mostrano una tipica forma a U tra la differenza di linguaggio utilizzato da uomini e donne e la percentuale di donne presente nei gruppi parlamentari (figura 2).
Figura 2 – Come si differenzia il linguaggio delle donne al crescere della loro presenza
In altre parole, il linguaggio di uomini e donne appare divergere molto in due situazioni: da un lato, quando le donne sono molto poche in gruppi a grande preponderanza maschile; dall’altro, quando sono numerose e quindi costituiscono la cosiddetta “massa critica”.
Nella prima situazione, le donne reagiscono alla condizione di minoranza adottando la strategia dell’overachievement (ultra-performance): sono donne molto motivate, che si sono fatte strada in partiti a dominanza maschile e che, una volta conquistato il seggio in parlamento, intervengono in aula portando avanti istanze diverse da quelle dei colleghi uomini.
Nella seconda situazione, quando cioè la percentuale di donne nei gruppi parlamentari si avvicina o supera il 30 per cento, il linguaggio di uomini e donne diverge perché le seconde fanno squadra e sfruttano il loro accresciuto potere contrattuale, che è (anche) funzione del loro numero, per introdurre nel dibattito parlamentare istanze diverse da quelle dei colleghi uomini.
La forma a U, però, ci dice anche che, nella fase di passaggio dall’essere una minoranza trascurabile a una sostanziosa in grado di attivarsi come massa critica, si assiste a un adattamento del linguaggio femminile a quello maschile. La convergenza nel linguaggio è riconducibile alla diversificazione del personale politico femminile: quando le donne aumentano in numero, alle over-achiever della prima ora, che si facevano portavoce delle istanze femminili (e femministe) in aula, si sommano colleghe per le quali la dimensione politica del genere è meno saliente (tecnicamente, meno women-identified), che tendono a conformarsi al linguaggio della maggioranza (ancora) maschile.
Quindi, per introdurre prospettive diverse in materie prima appannaggio prevalentemente maschile, i numeri servono, ma da soli non bastano. Occorre che tra le donne in Parlamento ce ne siano alcune disposte a pagare un costo per differenziarsi dal linguaggio della maggioranza e pronte a organizzare, intorno a loro, le colleghe meno intraprendenti.
Fonte: La Voce