Renzi: il fallimento del Terzo Polo apre le porte al bipolarismo


di Giovanni Cominelli

La tesi enunciata da Matteo Renzi nella sua Enews n. 983 di Lunedì 22 Luglio, ma già anticipata in un’intervista al Corriere qualche giorno prima, è che il fallimento del Terzo polo “ha spalancato le porte al bipolarismo”.

Nel giro di un paio di mesi la previsione secondo cui davanti al Terzo polo si sarebbero aperte “vaste praterie” si è rovesciata nel suo opposto. In ogni caso, di qui in avanti, o si sta con Schlein o si sta con Meloni. Tertius polus non datur!

Scrive Renzi: “Per me essere riformisti significa incidere nella realtà. Per incidere bisogna stare a destra o a sinistra. Io voglio fare l’ala blairiana della coalizione di centrosinistra”. Così, dunque, Matteo Renzi approda dal macronismo al blairismo.

Poco interessante tornare qui sulle cause contingenti e su quelle di lunga durata del fallimento del renzismo e della fine di un leader, le cui mosse sono ormai ridotte al volteggio tattico sui trapezi della politica italiana.

Necessaria invece qualche riflessione sull’attuale bipolarismo italiano.

Il bipolarismo politico

Il bipolarismo italiano di oggi è fragile e volatile, nonostante le apparenze, sia per ragioni politico-istituzionali sia per ragioni culturali.

È fragile ed occasionale, perché è fondato sul primato del sistema dei partiti rispetto alle istituzioni universali. Sta scritto in Costituzione: i partiti decidono rappresentanza e governo e, pertanto, ad nutum, le regole elettorali, a intervalli irregolari: per oltre quarant’anni il sistema proporzionale, poi quello maggioritario dal 1993, poi il Porcellum dal 2005, poi l’Italicum dal 2015, poi il Rosatellum dal 2017.

In vigenza del quale, in ciascuno dei due rami del Parlamento, il 37% dei seggi assembleari è attribuito con un sistema maggioritario uninominale a turno unico; il 61% dei seggi viene ripartito fra le liste mediante un meccanismo proporzionale, con clausole di sbarramento; il 2% è riservato al voto degli Italiani residenti all’estero.

Il primato del partito è stato portato al parossismo dal Porcellum e solo parzialmente corretto dal Rosatellum: gli elettori hanno la facoltà di votare il partito, ma non di scegliere il proprio rappresentante.

I candidati alla rappresentanza sono proposti nel collegio o schierati preventivamente in lista, secondo un ordine deciso da una manciata di segretari di partito. Il sistema elettorale, cioè la macchina che trasforma i voti popolari in seggi, è nella disponibilità della mutevole volontà dei partiti, i quali convergono unanimi da poli opposti nell’impedire che siano gli elettori a scegliere direttamente i propri rappresentanti e a scegliere il governo.

E la mutevole volontà e fortuna dei partiti è, inevitabilmente, specchio e ostaggio di un elettorato volatile e democraticamente pronto ad ogni salto della quaglia, avendo come motore sempre acceso quello degli interessi, delle rabbie, dei moti del momento. Così i partiti si trovano in un breve arco di tempo due volte nella polvere e altrettante sull’altar, ma anche di più…

Il bipolarismo ideologico

Il motore ideologico che alimenta questo fragile bipolarismo politico è quello dell’alternativa reciproca radicale piuttosto che quello dell’alternanza liberal-democratica dell’alternanza e della governabilità, fondata sulla facoltà degli elettori di scegliere direttamente il proprio rappresentante e di scegliere il governo.

Il bipolarismo politico-ideologico tende a radicalizzare e a estremizzare le tensioni socio-culturali, fino a spingere ciascuno dei poli opposti ad un’alternativa di sistema, oltre i confini della democrazia liberale.

Si innesca un circolo vizioso autopropulsivo, che erode dall’interno l’idem sentire democratico e il funzionamento effettivo delle istituzioni. È l’essenza del trumpismo, dall’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 in avanti, e dei suoi adepti in Europa: Farage, Le Pen, Vox, Salvini, Orban…

Un quadro internazionale complesso

Mentre le società occidentali post-moderne sono sempre più frastagliate, frammentate in identità plurali e reciprocamente conflittuali, percorse da venti di rabbia, perché a vecchie ingiustizie si aggiungono nuove ineguaglianze e immigrazioni incontrollate, declino di storiche classi sociali e ascesa di nuove, il mito bipolare punta illusoriamente ad una “reductio ad unum” impotente e insieme esplosiva.

Impotente, perché la complessità sociale, al tempo della globalizzazione, è più forte e più incontenibile di ogni illusione totalitaria. Esplosiva, perché libera rabbia, violenza, odio, cattive parole e cattive azioni e, dunque, indebolisce le liberal-democrazie rispetto alla sfide geopolitiche delle autocrazie.

La destra italiana, la cui storia e filoni P. Macry ha analiticamente ricostruito nel libro “La destra italiana”, tende a oggi configurarsi come Fronte nazionale, mentre la sinistra sembra dirigersi nella direzione del Fronte popolare.

Intolleranza reciproca e accuse sanguinose fra i poli

Se ambedue i Fronti continuano a muoversi dentro gli istituti della democrazia liberale, la loro filosofia tende verso la democrazia cosiddetta “illiberale”, fatta di intolleranza reciproca e di accuse sanguinose. Salvini si è collocato da tempo, su posizioni nazionaliste, anti-europeiste, filo trumpiane e filo-putiniane. Giorgia Meloni oscilla ambiguamente sul crinale.

A sinistra, si ripropone il Fronte popolare antifascista, ad imitazione del Nouveau Front Populaire, nato il 10 giugno in Francia per liquidare insieme Macron e Le Pen, esattamente in quell’ordine dichiarato. A Macron era stata assegnata, per l’occasione, la parte del social-fascista. Il “campo largo” italiano ripropone l’antifascismo eterno e il berlinguerismo etico.

In questo quadro ideologico enfiato le forze liberal-democratiche – Taiani e Renzi – sono state convocate rispettivamente da Meloni e Schlein per portare voti e acqua ad un disegno di bipolarizzazione pericolosa del sistema dei partiti. Al richiamo di Schlein, questa volta “lo sventurato rispose”.

Al momento, la decisione di Matteo Renzi di abbandonare l’impresa della costruzione di un polo socialista-liberale o liberal-democratico della politica italiana sembra passare attraverso la riedizione di una “Margherita 2.0”, che poi confluirebbe in una rieditata ”Unione 2.0”, a guida Schlein. L’Unione del 2006 a direzione Prodi, durò un paio d’anni.

Le conseguenze sulle riforme istituzionali

La prima vittima di questa bipolarizzazione muscolare saranno le riforme istituzionali, di cui dagli anni ’80 si proclama l’urgenza.

Della proposta di premierato diffidano Forza Italia, la Lega, il PD, il M5S. All’autonomia differenziata è favorevole solo la “vecchia Lega” bossiana. Tiepido Salvini, poco entusiasta Forza Italia, contrario l’intero “campo largo”, Renzi compreso. Ciascuno dei due temi viene sovraccaricato di ideologia, così che il terreno del merito viene minato.

Per un bipolarismo liberal-democratico, fondato sulla legittimazione reciproca, sull’alternanza dei programmi e degli schieramenti, su istituzioni forti e partiti “deboli” i tempi continuano ad allungarsi.

Un Paese in perenne ebollizione ideologica è il meno adatto ad affrontare le tempeste geopolitiche in arrivo. Come si presenterà l’Italia di fronte a quei due “bravi ragazzi” Putin e Xi Jin-Ping, come li ha definiti Trump, e a quel terzo che è lui stesso?

Fonte: Santalessandro