Reddito di Cittadinanza e navigator: un fallimento raccontato dai numeri


Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)


I recenti numeri diffusi dall‘ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive per il Lavoro) sul Reddito di Cittadinanza restituiscono l’idea di un sostanziale fallimento della misura assistenziale e, in particolare, dei navigator, ovvero quelle figure che, nel progetto dell’allora Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, avrebbero dovuto supportare i percettori del sussidio nella ricerca di lavoro.

La premessa fondamentale è che l’emergenza Coronavirus e i mesi di “serrata nazionale” hanno, ovviamente, influito sul funzionamento del meccanismo e sui numeri che andremo, ora, ad elencare ma, al di là di questo aspetto, il giudizio complessivo che viene fuori dai dati AMPAL, non può certo essere positivo. Partiamo proprio dai navigator e dalle prospettive future che li attendono. I 2846 assunti in questo ruolo,a cui viene corrisposto uno stipendio mensile di 1700 euro, hanno dovuto affrontare, va detto, un vero e proprio percorso ad ostacoli. I contenziosi tra governo centrale e governi regionali, che non li volevano nei propri Centri per l’impiego, hanno fatto sì che potessero essere davvero operativi solo a dicembre 2019. Qualche mese dopo, come noto, le restrizioni anti Covid hanno congelato tutto, sospendendo fino a luglio l’obbligo di ricerca del lavoro per i percettori del RdC. I contratti dei navigator scadranno ad aprile 2021 e, al momento, non è dato sapere quale sarà il loro destino. Qualora non dovesse esserci alcun rinnovo, quindi, si creerebbe una paradossole situazione in cui, coloro i quali avrebbero dovuto rappresentare un supporto per la ricerca del lavoro, saranno a loro volta in cerca di occupazione.

In totale i percettori del reddito sono 2,8 milioni, a cui viene corrisposto un importo medio mensile di 560 euro. Tra questi, secondo le stime dell’INPS, poco più della metà (ovvero 1,5 milioni) è occupabile, può cioè prendere parte all’iter che dovrebbe portare alla firma di un contratto lavorativo. Il primo passo di questo percorso è la firma del “patto per il lavoro”. Ebbene, fino al 7 luglio scorso, sono stati circa 800.000 mila coloro che l’hanno sottoscritto. Un dato, questo, ritenuto incoraggiante da ANPAL Servizi: “È un numero importante soprattutto se consideriamo i mesi di lockdown in cui è stato impossibile lavorare in presenza e i colloqui sono proseguiti solo telefonicamente”.

I dati positivi, tuttavia, terminano qui, perché le restanti risultanze sono di segno totalmente opposto. Tra questi 800.00, infatti, coloro i quali hanno sottoscritto un contratto di lavoro sono solo 196.046. Un numero di per sè poco incoraggiante che, in questi mesi, si è praticamente dimezzato. Il motivo? Circa il 50% dei contratti stipulati erano contratti a termine e sono, dunque, già scaduti.

Al di là delle differenti posizioni sulla legittimità, sullo spirito e sul valore di una misura come il Reddito di Cittadinanza, dunque, dai dati ANPAL emerge un sostanziale fallimento, identificabile soprattutto nel meccanismo burocratico che ne regola il funzionamento. Tale sussidio, probabilmente, è stato introdotto troppo presto e non è stato accompagnato da quelle fondamentali riforme (vedasi, ad esempio, i centri per l’impiego) che avrebbero potuto facilitarne l’applicazione. Un lavoro preparatorio che avrebbe richiesto anni, ma che si è invece esaurito in pochi mesi perché vi era l’esigenza di innalzare una bandiera, di mettere in atto una misura diventata il simbolo di un intero movimento politico.