“Marianna Ucria”, regia di Roberto Faenza, su Rai Storia, canale 54, alle 21,10
Di Franco La Magna
Senza entrare troppo nel merito della trasposizione cinematografica delle opere letterarie, tre sono fondamentalmente le scuole di pensiero sorte intorno alla “vexata questio”: infedeltà al romanzo, ma fedeltà allo spirito; fedeltà al romanzo, ma mediante una equivalenza stilistica; impossibilità di trasposizione, quindi assunzione del romanzo come pretesto per parlare della propria visione del mondo.
Infedele al romanzo, ma fedele allo spirito e nel contempo vicino ad una visione del mondo (con riprovevole rigetto da parte dei “puristi”) sembra essere il film “Marianna Ucria” (1997) regia di Roberto Faenza (questa sera su Rai Storia, canale 54, alle 21,10), ambientato nella Sicilia della prima metà del ‘700 e letteralmente “avvolto” dai sontuosi costumi del grande Danilo Donati.
Dal romanzo di Dacia Maraini “La lunga vita di Marianna Ucria”, Faenza ha tratto la dolorosa, tormentata e difficile emancipazione di una donna, stuprata da bambina e andata in sposa all’età di dodici anni ad un vecchio zio, il Duca Pietro fratello della madre.
Marianna Ucria – divenuta muta all’età di cinque anni – crescendo prenderà progressivamente coscienza del proprio essere, aiutata da un istitutore francese che le insegna il linguaggio dei segni, il piacere della lettura, instillandole anche prerivoluzionarie idee di libertà. Emergerà anche l’oltraggio che le ha fatto perdere la voce.
In crescendo il ribellismo attraverso la donna si emancipa, anche sessualmente, dalla penosa condizione di sottomissione al consorte, da cui avrà ben cinque figli.
Elegante e decorativo biopic settecentesco, scenograficamente abbagliante e splendidamente fotografato da Tonino Delli Colli, che volutamente raffredda la già incandescente materia narrativa scoprendone l’ intento educativo