Se si tirano le somme le quote latte sono costate finora e costeranno ancora ai contribuenti circa il 20 per cento della manovra di Monti per “salvare” l’Italia. Il debito esigibile ammonta oggi a oltre 700 milioni di euro ma il prelievo supplementare totale imputato all’Italia dal 1984 al 2010 – da quando l’allora ministro dell’Agricoltura Filippo Maria Pandolfi barattò il latte con l’acciaio – ammonta infatti a 4,4 miliardi di euro. Di questi il prelievo imputato nella prima fase e pagato interamente dalle casse dello Stato con l’accordo Ecofin del 1994 ammonta a 1,9 miliardi di euro. Accordo che chiuse – con il ministro Giulio Tremonti come negoziatore – la fase relativa alle campagne comprese tra il 1984-85 e il 1992-93. In sostanza facendo ricadere il debito delle quote sui contribuenti italiani sotto forma di maggiore pressione fiscale. Ancora in discussione la rimanente parte, vale a dire i 2,5 miliardi di euro relativi alle campagne comprese tra 1995-96 e 2009-2010. Di questi i produttori cosiddetti “splafonatori” hanno pagato e si sono impegnati a pagare circa 400 milioni di euro – anche attraverso la rateizzazione del 2003 condotta dall’allora ministro Gianni Alemanno – mentre il prelievo a loro imputato e non ancora versato corrisponde a 2,1 miliardi di euro. Soldi che sono già stati sottratti da Bruxelles all’Italia sottoforma di trattenute sui trasferimenti della Pac.
I produttori che si trovano oggi a dover pagare le multe – relative alle campagne 1995-96 e 2009-2010 – si dividono in due categorie: i produttori con debito non esigibile per effetto di ricorsi – al Tar – ancora in atto, il cui debito ammonta a 1,3 miliardi di euro; e i produttori con debito esigibile (senza ricorsi o con ricorsi chiusi a sfavore per i produttori) il cui debito ammonta a circa 780 milioni di euro. Di questi ultimi – stando ai dati che si evincono dalla circolare Agea del 17 dicembre 2010 – erano stati “coperti”, attraverso la rateizzazione di Zaia, circa 43 milioni di euro. Il debito esigibile rimanente – 740 milioni circa – se non dovessero essere saldati dai produttori multati, ricadrebbero inevitabilmente sui contribuenti italiani sottoforma di pressione fiscale. Stando ai dati Istat 2010, nel secondo trimestre, il numero di occupati (in termini destagionalizzati) risulta pari a 22.915.000 unità. Vale a dire il 57,5 per cento della popolazione attiva compresa tra i 15 e i 64 anni.
In base ai dati delle dichiarazioni Irpef 2009 (anno d’imposta 2008) – avevano già fatto sapere al VELINO dal dipartimento delle Finanze – sono 41.802.902 i soggetti che hanno assolto l’obbligo dichiarativo in via diretta, attraverso i diversi modelli dichiarativi (Unico, 730) o indiretta come soggetti sottoposti a ritenute da parte del soggetto che eroga loro i redditi (Mod. 770). A questi soggetti vanno aggiunti 412.859 contribuenti che pagano l’imposta sostitutiva collegata al regime dei contribuenti minimi. Se si divide il debito esigibile accumulato dalle multe non pagate (780 mln) per i soggetti che secondo il Dipartimento delle Finanze hanno assolto l’obbligo dichiarativo, emerge che ogni lavoratore si troverebbe a dover pagare di tasca propria circa 20 euro. Se infine gli splafonatori non dovessero saldare il conto e si volessero tirare le somme confrontando il totale del prelievo imputato da Bruxelles nel corso degli anni – vale a dire i 4,4 miliardi di euro già citati da cui devono essere sottratti i 440 saldati – e il numero di coloro che secondo il Dipartimento delle Finanze hanno “assolto l’obbligo dichiarativo”, emerge che ogni italiano che paga le tasse si ritroverà ad aver “contribuito” alla causa degli splafonatori, volente o nolente, circa 95 euro. (ilVelino/AGV)