Questa sera in TV 30/12 “IL PETROLIERE” (2007) regia di Paul Thomas Anderson


Una spietata conquista di potere e ricchezza d’un sinistro trafficante di oro nero, avido e rapace re maledetto shakespeariano

(Stasera 30 dicembre su La7 alle 21,45. Imperdibile)

Franco La Magna

Ancor prima di Max Weber e del suo opinabile ma celeberrimo saggio “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, in cui si studia l’intima connessione tra “distacco dal mondo, ascetismo, religiosità da una parte, partecipazione alla vita industriale capitalistica dall’altra”, lo stesso Weber ricorda come Gotheim definisca la diaspora calvinistica “il semenzaio dell’economia capitalistica”. Da uno schizzo psicologico e sociologico del tutto simile a questo “idealtipo” weberiano (ergo, guadagno come scopo della vita e non come mezzo) – ma dal quale progressivamente andrà allontanandosi – prende le mosse “Il petroliere” (2007) di Paul Thomas Anderson (“Orso d’Oro” per “Magnolia” nel 1999), ascesa e declino d’un cercatore di metalli preziosi, icastica rappresentazione dell’epopea avventurosa e pionieristica della ricerca dell’oro nero in una pietrosa e avvampata California, colta tra la fine dell‘800 e i primi decenni del XX secolo. Il petroliere narra l’irresistibile ascesa di tale Daniel Plainview, apparente incarnazione d’un “capitalismo calvinista” portatore d’etici postulati (famiglia, bambini, istruzione, frugalità, massimo impegno professionale…) e di benessere (acqua, pane, lavoro, case…), aduso ad una vita di stenti e duro lavoro, che candidamente (e decisamente) si mostra come padre d’imberbe fanciullino, spacciato per figlio (e che poi si scoprirà ignobile camuffamento, atto a tranquillizzare e convincere i proprietari a vendere i terreni petroliferi). Realizzato in breve l’agognato sogno di trasformarsi in un magnate del petrolio, Plainview disvelerà una natura avida e rapace, pendant della totale assenza di scrupoli e d’uno spirito di sopraffazione che giungerà fino all’omicidio.

Nessuna grazia, nessuna ascesi, chiuderà la vita dell’ex minatore ormai plurimiliardario, oscuramente gravato da sensi di colpa e finalmente mostrato nel suo credibile habitus di shakespeariano re maledetto, misogino di sinistra grandezza, abbandonato da tutti al pari dell’altrettanto faustiano magnate di “Citizen Kane”, al quale può essere senza retorica pretestuosa apparentato, perfino nell’ispirazione alla vita di personaggi realmente vissuti (William Randolph Hearst-Orson Welles per “Quarto potere”, Edward L. Doheny-Daniel Day Lewis per il film di Anderson). Un Faraone petrolifero, padre putativo d’un “Mosè” divenuto sordo a seguito d’uno spettacolare incidente, ma fieramente ribelle e finalmente libero dall’oppressione del fittizio genitore (significativo il biblico riferimento a cui Plainview si ispira per misconoscere la paternità: “Un bastardo trovato in un cesto” urla al figlio adottivo, dal quale a sua volta viene ripudiato). Assassino prima d’un falso fratello, poi d’un finto predicatore (teatrale imbonitore ed alter ego nel quale ambiguamente si rispecchia autodistruggendosi, esecrabile simbiosi tra capitalismo e religione), egli stesso millantatore (si converte ingannevolmente durante una cerimonia da burla, ottenendo così il permesso d’attraversare un terreno su cui interrare un oleodotto), il lugubre, violento, polveroso “Petroliere” (superba, incomparabile, interpretazione di Daniel Day Lewis) trasforma l’american dream e l’ottimistica ideologia del self made man in un incubo noir e lo stesso Plainview in tenebroso Mabuse dalle mani sporche di greggio, agghiacciante incarnazione del male spogliato d’ogni origine metafisica.

Terrosa, materica, lubrica e “maleodorante”, saettata d’improvvisi squarci di luce, l’opera di Anderson scrive una grande pagina di cinema (seppur lasciando irrisolti e oscuri molti passaggi), raccontando di un’accumulazione primitiva di ricchezza del tutto desaturata d’ogni alone romantico, colma d’un’aura sacra fames spietata, priva d’incertezze morali ed esistenziali, summum bonum d’un etica che semina steccati e invalicabili distinzioni tra gli uomini sulla base del mero possesso di denaro. Tratto dal fluviale romanzo “Oil” di Upton Sinclair, sul quale agisce con legittimo adattamento. Otto nomination, ridotte dalla Hollywood bacchettona e moralista a soli due Oscar “inevitabili”: miglior interpretazione maschile a Daniel Day Lewis e miglior fotografia a Robert Elswit. “Orso d’Argento” come miglior regista al Festival di Berlino.