Quello che gli ottimi dati sull’occupazione non dicono


Il 2023 è stato un ottimo anno sotto il profilo occupazionale ma sarebbe bene non non lasciarsi distrarre dai numeri e abbassare la guardia: il mismatch resta la vera maledizione del nostro mercato del lavoro (e potrebbe presto presentare il conto…)

di Claudio Negro

Fuochi artificiali e palloncini colorati per i dati Istat sull’occupazione a dicembre 2023. Che, in effetti, sono buoni: 23.754.000 di occupati per un tasso del 61,9%, entrambi record da sempre. I dati diventano poi entusiasmanti se si considerano i valori tendenziali: rispetto a 12 mesi fa il tasso di occupazione è cresciuto dell’1,2%, quello di disoccupazione è sceso dello 0,8% e quello di inattività del 0,7%. Dal punto di vista occupazionale, il 2023 è stato estremamente positivo: ha proseguito le tendenze (per ovvie ragioni) clamorose manifestatesi nel 2022 e ne ha dimostrato il carattere non congiunturale. Ciò detto, e “senza voler menare gramo”, vale la pena di fare un’analisi più di dettaglio.

Per esempio, in primo luogo, prendendo in considerazione i dati congiunturali (dicembre su novembre) si può notare che aumenta sì il numero degli occupati (+14mila) ma grazie ad autonomi (+26mila) e dipendenti a termine (+21mila), mentre diminuiscono i lavoratori a tempo indeterminato (-33mila). È ovvio che in un’analisi di lungo periodo un rilievo statistico del genere ha poco significato. Però, se si aggiunge qualche altro dato congiunturale dello stesso segno, diventa necessario fare qualche riflessione: se aumentano gli inattivi e diminuiscono i disoccupati, non significa che più persone hanno trovato lavoro, ma che meno persone lo cercano. Se dal mese scorso meno persone sono al lavoro con contratti stabili, più persone hanno rinunciato a cercare lavoro e, di riflesso, meno persone figurano disoccupate, significa che una curva che era in crescita da diversi mesi si sta appiattendo.

Come andrà? Ai posteri l’ardua sentenza! Noi segnaliamo il fatto e stiamo a osservare.

Intanto, vediamo qualche outlook: l’Osservatorio Excelsior-Unioncamere ci dice che a gennaio 2024 le imprese avrebbero bisogno di assumere 508.260 lavoratori, ma che per il 49% queste assunzioni sono difficoltose. È opportuno notare un particolare: le assunzioni più difficili non sono neanche quelle dei profili più alti ma quelle dei profili medio-alti (operai specializzati, professioni tecniche, conduttori di impianti e operai di macchinari fissi e mobili), con percentuali ben superiori al 50%.

Il che apre un punto di vista abbastanza nuovo, ma che potrebbe diventare dominante. Si tratta di professionalità che raramente emergono dai percorsi formativi, prodotte soprattutto dall’esperienza e dall’apprendimento sul lavoro; non a caso, il segmento di età più consolidato di occupati è quello che va da 35 a 49 anni, ossia di lavoratori che hanno acquisito skills e competenze nel corso della propria vita lavorativa. Un segnale non esattamente positivo per il futuro: la domanda di lavoro sta consumando ciò che resta dell’offerta, e la nuova offerta scarseggia.

Il mismatch resta la maledizione del nostro mercato del lavoro, e mancano le idee per una, piccola ma pur necessaria, rivoluzione.

Claudio Negro, Fondazione Anna Kuliscioff e
Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali