Di Federico Rampini
L’America resta indispensabile per la sicurezza economica mondiale. Ma la sua forza militare pur imponente non basta a spegnere i focolai che altri continuano ad appiccare. Lo scivolamento verso quella che papa Francesco chiama la terza guerra mondiale rischia di essere evitato, paradossalmente, da una ritirata Usa sotto la presidenza dell’isolazionista Donald Trump. Gli ultimi interventi militari americani (con appoggio britannico) contro gli Houthi dello Yemen, sono al tempo stesso una escalation e una missione incompiuta. Più che dare risposte aprono nuovi interrogativi. Gli Houthi, che non possono agire senza l’appoggio dell’Iran, hanno moltiplicato gli attacchi contro navi mercantili nel Mar Rosso, e non colpiscono solo cargo israeliani. L’intervento angloamericano contro di loro è un’operazione difensiva, di polizia, a protezione della libertà di navigazione. Non è in gioco un interesse vitale degli Stati Uniti, che da anni hanno smesso di dipendere dal petrolio arabo e hanno raggiunto l’autosufficienza energetica. In questo caso il gendarme americano difende un bene collettivo — la sicurezza del trasporto marittimo — a cui sono più legati in quell’area l’Europa e la Cina.
Risalta quindi una vulnerabilità sia europea sia cinese: potenze economiche senza un’adeguata proiezione militare in Medio Oriente. È messa a nudo anche la fragilità dell’Arabia Saudita: nonostante le sue spese miliardarie in armamenti, la monarchia di Riad è stata incapace di domare gli Houthi che più volte l’hanno attaccata.
L’Iran è il grande guastatore in quest’area. Il suo regime clericale tiene le fila di quello che chiama «l’asse della resistenza contro il Grande Satana americano e il sionismo israeliano», di fatto un asse del terrore che unisce Hamas, Hezbollah, Houthi e altre milizie oltre al regime di Assad in Siria. Finora il gioco iraniano sta funzionando: accende tante guerre per procura e mantiene una «deniability», non entra mai in gioco direttamente, nega il proprio ruolo di mandante. È un gioco pericoloso ma molto redditizio. Teheran ha già vinto un premio alla lotteria, facendo saltare il disgelo tra Arabia Saudita e Israele, un sodalizio all’insegna della prosperità economica che avrebbe messo a nudo la criminale incompetenza degli ayatollah in fatto di progresso sociale.
Solo l’America o Israele potrebbero decidere di spezzare la finzione e allargare il conflitto all’Iran stesso per colpire la cabina di regìa del caos. Né Biden né Netanyahu sembrano voler varcare questa soglia. Le valutazioni strategiche di America e Israele dovranno tener conto che il programma nucleare iraniano è vicino alla fatidica soglia della bomba.
La teocrazia sciita per sua natura è un oggetto che gli occidentali stentano a decifrare. È ispirata dalla certezza messianica che Dio castigherà gli infedeli a cominciare dai suoi nemici giurati, Stati Uniti e Israele. Ha fiducia che la decadenza americana consentirà la distruzione finale dello Stato ebraico. Al tempo stesso gli ayatollah sono capaci della massima duttilità tattica nel perseguire i loro obiettivi correndo dei rischi controllati; lo hanno dimostrato anche nell’alleanza d’interessi con due regimi anti-musulmani come quello russo e cinese.
Ricostruire un equilibrio simile a quello che precedette il 7 ottobre 2023, richiede un successo della strategia americana. Antony Blinken ha riesumato quella «shuttle-diplomacy» resa celebre dallo scomparso Henry Kissinger, con la sua spola incessante fra capitali mediorientali. All’asse sunnita moderato — Arabia, Egitto, Giordania, Emirati — l’Amministrazione Biden offre una soluzione della questione palestinese basata su due Stati, che però la mattanza di Hamas ha reso meno accettabile non solo per Benjamin Netanyahu ma per buona parte dell’opinione pubblica israeliana. L’azione delle forze armate israeliane a Gaza continua a indignare le piazze arabe, riducendo gli spazi di manovra di leader come Mohammed bin Salman e al-Sisi. Decenni di propaganda dei leader arabi, che hanno manipolato la questione palestinese a scopi di stabilità interna, ora presentano il conto agli apprendisti stregoni. Da tempo Egitto, Arabia, Emirati avevano abbandonato la leadership palestinese (sia moderata sia estremista) per la quale nutrono il massimo disprezzo. Ma le scene strazianti di mamme e bambini che muoiono sotto le bombe israeliane li costringono a tornare all’antica finzione della solidarietà.
Papa Francesco ha ragione, forse siamo già scivolati dentro una guerra mondiale, in ogni caso i rischi di un allargamento del conflitto sono molto reali, tra i vari incendi già appiccati in giro per il mondo bisognerebbe annoverare Ecuador e altri Stati falliti nel Centroamerica, forse domani Taiwan e le Filippine sotto la minacciosa pressione cinese.
Ai rischi che già corriamo può aggiungersene uno che li aggrava tutti: la ritirata dell’America. Quando Donald Trump dà del pazzo a Biden per il bombardamento contro gli Houthi, tocca un nervo sensibile nell’opinione pubblica americana, sia a destra sia a sinistra. I Padri Fondatori della Repubblica americana avevano voltato le spalle all’Europa giurando di non farsi coinvolgere dalle sue guerre di religione. Oggi molti possono nutrire lo stesso sentimento verso le faide secolari tra sunniti e sciiti. La destra isolazionista e la sinistra pacifista volevano restare fuori dalla prima e seconda guerra mondiale abbandonando l’Europa al Reich o al duo Hitler-Stalin. Oggi c’è un popolo di destra che si chiede perché aiutare l’Ucraina a difendere i suoi confini, se dalla frontiera Usa-Messico passano fiumi di droga e ondate di stranieri illegali. C’è un popolo di sinistra che aborrisce un’espressione come «gendarme mondiale», auspica una pace creata solo dall’Onu (buona fortuna). Un’America che si ripieghi su se stessa lascerebbe dei vuoti che nessun altro, al momento, è in grado di colmare. O ha voglia di colmare, nel caso degli europei.
In questo senso ciò che accade nel Mar Rosso rischia di essere un piccolo assaggio del mondo che verrà. Nazioni piuttosto piccole, dipendenti dal commercio estero, di fatto smilitarizzate come sono l’Italia e la Germania, sono tra le più impreparate a sopravvivere in questo tipo di scenari.
Fonte: Corriere