Ci si è interrogati sui motivi per cui le donne fanno fatica ad affermarsi sui luoghi di lavoro. Ci sono tre possibili motivazioni: le diverse opportunità, possibilità legate al posto di lavoro e alla famiglia e “la volontà delle donne”.
di Ettore Minniti
Un mondo al femminile quello della pubblica amministrazione, ma dove fanno carriera solo gli uomini.
Con la pandemia il gender gap si è accentuato perché sono le donne ad aver pagato dazio. Il 98% di chi ha perso il lavoro è donna ed è ancora prevalentemente donna quella parte di Pubblica Amministrazione che si è fatta carico dei servizi essenziali: sanitari e assistenziali ma anche educativi e scolastici.
In sintesi, le donne sono il 58% dei dipendenti ma il 38% nella dirigenza amministrativa e dominano nel part time
Ci si è interrogati sui motivi per cui le donne fanno fatica ad affermarsi sui luoghi di lavoro. Ci sono tre possibili motivazioni: le diverse opportunità, possibilità legate al posto di lavoro e alla famiglia e “la volontà delle donne”.
Tutto ciò pone degli ostacoli alla possibilità per le donne di fare carriera nel pubblico nonostante la voglia di fare carriera. E tra questi ostacoli ci sono anche i pregiudizi esterni a costruire un contesto poco favorevole per la crescita professionale delle dipendenti pubbliche.
C’è un problema che mescola cultura organizzativa, distribuzione delle opportunità e strumenti di conciliazione fra lavoro e vita privata e famigliare.
In questi giorni, per rimediare a questo gap gender sono uscite le nuove Linee guida sulla parità di genere in una Pubblica amministrazione, sono intitolate alla «parità di genere nell’organizzazione e gestione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni».
Linea guida del nuovo indirizzo targato Bonetti-Brunetta è quella del Pnrr, che fra i divari da colmare con il doppio programma di investimenti e riforme annovera anche quello di genere. In questa chiave gli obiettivi generali sono fissati dalla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-26: ridurre di almeno 3 punti la distanza fra i tassi di occupazione maschile e femminile, che ancora oggi viaggia a un 27% privo di paragoni nelle economie più avanzate della Ue, stringere di oltre due punti il divario fra donne con e senza figli (oggi è 12 punti contro i 9-9,5 della media Ue) e portare a un 30% europeo dall’attuale 22% italiano la quota delle imprese femminili.
I primi due obiettivi intervengono direttamente sulle modalità d’azione dei datori di lavoro. E la pubblica amministrazione con i suoi 3,2 milioni di dipendenti è il più grande datore di lavoro italiano.
Per questa ragione le 23 pagine delle nuove Linee guida, dopo l’analisi del contesto, scelgono la strada pragmatica delle indicazioni che ogni amministrazione pubblica è chiamata a seguire nella gestione del reclutamento e nell’organizzazione di chi è già al lavoro.
Ci avviamo quindi verso una generazione di nuove dirigenti al femminile che si sta faticosamente affermando in molti settori della Pa, assumendo incarichi storicamente maschili. E quando ci sono più donne a concorrere alle decisioni, le amministrazioni diventano più attente alla questione di genere.
Speriamo che tutto ciò poi si traduca in sburocratizzazione, trasparenza ed efficienza amministrativa.