di Giuseppe Calderisi*
Solo un rapido cenno a quello che ho chiamato il “diritto di imboscata” consentito, di fatto, dall’emendamento del Governo; cioè il caso in cui il premier cada perché viene respinta una questione di fiducia (che potrebbe riguardare anche la legge di bilancio o una mozione sulla collocazione internazionale dell’Italia). Le dimissioni del premier in tal caso non sono “volontarie” ma un atto dovuto, come ritiene la quasi totalità dei costituzionalisti. Per cui il premier eletto non disporrebbe del potere di scioglimento, soprattutto come strumento di deterrenza per prevenire le crisi; e quindi in caso di “imboscata” di pochi parlamentari assenti ad un voto di fiducia, il premier eletto cadrebbe e potrebbe subentrargli un secondo e ultimo premier che sarebbe invece inamovibile. Insomma, se quel “volontarie” non fosse eliminato avremmo una riforma beffa: gli elettori eleggerebbero direttamente un premier che potrebbe durare solo pochi mesi.
Voglio invece affrontare la questione dell’indicazione o elezione diretta e la connessa questione del sistema elettorale. Premesso che l’elezione diretta esige la necessità della maggioranza assoluta e dell’eventuale ballottaggio per evitare di avere un premier di minoranza, dico subito che va presa seriamente in considerazione la proposta di compromesso illustrata nell’audizione svolta nel 1997 alla bicamerale D’Alema dal prof. Augusto Barbera, cioè l’indicazione del premier al primo turno e l’elezione diretta nel ballottaggio. Una proposta di compromesso che è agli atti parlamentari e che può risolvere non solo il nodo politico di fondo, ma anche una serie di problemi tecnici che altrimenti potrebbero essere irrisolvibili.
Il Governo ha il dovere e la responsabilità di rendere noti almeno gli aspetti fondamentali del sistema elettorale prima dell’approvazione della riforma costituzionale, per evitare di dover scoprire solo dopo che non funziona. Infatti, non c’è solo il rischio di un esito diverso tra i due rami del Parlamento. Se è vero che l’elettorato attivo è lo stesso, non lo è quello passivo; e soprattutto sono diverse le modalità del riparto dei seggi, su base nazionale alla Camera e regionale al Senato. Un esito diverso è improbabile, ma se accade che si fa? Bisogna prevederlo. Ed esiste inoltre anche la questione ancora più rilevante del voto dei quasi 5 milioni di italiani all’estero che eleggono 8 deputati e 4 senatori, mentre 46 milioni di elettori in Italia eleggono 392 deputati e 196 senatori, con un rapporto elettori/seggi molto diverso (addirittura di 5 a 1). In questo caso vi è il rischio che i quasi 5 milioni di elettori estero determinino la vittoria in voti di un premier il cui schieramento è invece secondo per numero di seggi. Si può assegnare il premio di maggioranza a questo schieramento arrivato secondo come numero di seggi? E’ ammissibile un effetto di trascinamento dei seggi parlamentari di questa natura? Oppure si deve fare l’inverso? Insomma, saremmo nella situazione singolare e paradossale di dover attribuire la vittoria o allo schieramento che ha preso meno seggi oppure a quello il cui candidato premier ha preso meno voti!
E’ un evento improbabile, ma chi può assicurare che non accada? Il problema non si risolve neppure escludendo il voto disgiunto, cioè prevedendo che l’elettore esprima un unico voto che valga sia per l’elezione del premier che per l’elezione parlamentare e quindi senza una scheda separata per l’elezione del premier.
E allora? L’unica soluzione è quella di un sistema elettorale in cui l’esito delle elezioni è determinato in base ai seggi; in cui, cioè, la vittoria e l’eventuale premio siano attribuiti allo schieramento, e al candidato premier ad esso collegato, che ha ottenuto il maggior numero di seggi.
Se, come credo, non c’è alternativa a questa soluzione, si pone però un’ulteriore domanda: se la vittoria è legata al numero dei seggi parlamentari, siamo ancora di fronte ad un’elezione diretta o invece, di fatto, ad un’indicazione? La distinzione diventa infima, praticamente ideologica. Come dire: “Ego te baptizo piscem”, anche se non è pesce, se non è elezione, ma di fatto indicazione. Ecco perché la proposta di compromesso del prof. Barbera del 1997 potrebbe risolvere ogni problema: indicazione al primo turno, elezione diretta nell’eventuale ballottaggio.
Il sistema elettorale potrebbe essere quello a base proporzionale con premio, ma potrebbe essere anche quello proposto proprio da Barbera in quella stessa audizione. Nel 1997 c’era il Mattarellum, per questo Barbera prevedeva la vittoria al primo turno non in base al numero dei voti ma in base al numero dei seggi ottenuti nei collegi uninominali (pari al 75% dei seggi complessivi), destinando il 25% della quota proporzionale in parte come premio, fino alla concorrenza del 55% dei seggi complessivi, e la parte restante come diritto di tribuna. Un sistema di voto che sarebbe certamente, e di gran lunga, migliore di quello a base proporzionale con premio.
E se il governo e la maggioranza, dopo tutti i necessari approfondimenti, adottassero la proposta avanzata nel 1997 dal prof. Barbera (oggi Presidente della Corte costituzionale) porterebbero a compimento la riforma in carrozza, certamente con una più ampia condivisione. E noi tutti con la riforma Barbera potremmo stappare lo Champagne!
*Intervento alla maratona oratoria “Premierato: non facciamolo ‘strano’!” del 27 febbraio 2024