Una fetta della popolazione vicina al 15% è a rischio povertà: sono, infatti, oltre 8 milioni e mezzo gli italiani che rientrano nell’area di disagio sociale e quindi vivono in una condizione economica fortemente precaria. L’aumento del dato relativo al mercato del lavoro negli ultimi mesi non cancella le zone ad altissimo rischio, con quasi 2 milioni di disoccupati a cui vanno sommati 6,6 milioni di cosiddetti “working poor”. Senza dimenticare gli oltre 5 milioni di soggetti in povertà assoluta che portano il totale degli italiani in difficoltà parziale o estrema a quasi 14 milioni. È quanto emerge da un rapporto del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale è comunque leggermente calata, l’anno scorso, la fetta di persone a rischio povertà, pari a 8 milioni e 440 mila in discesa di circa 28mila unità rispetto al 2022. “Ci concentriamo su questo fenomeno da quasi 10 anni. La vera sfida del governo, che comunque sta operando in maniera positiva, ancorché non pienamente soddisfacente, sta nell’arrivare a fine anno con questo numero, quello dell’area di disagio sociale, più contenuto rispetto all’attuale 8,5 milioni: serve una traiettoria nuova, un cambio di passo verso un orizzonte diverso. È un obiettivo ambizioso, ma a nostro avviso raggiungibile. Si tratta di creare le condizioni affinché le imprese possano crescere, investire e creare nuova occupazione. La ricetta è semplice: meno burocrazia e meno tasse, con una quota consistente di incentivi per chi crea nuova, stabile occupazione. Il consiglio dei ministri in programma martedì è una occasione formidabile anche da questo punto di vista”, commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.
Secondo il rapporto del Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati Istat, l’area di disagio sociale corrisponde al 14,4% della popolazione: si tratta di 8,5 milioni di persone sul totale di 59,1 milioni di cittadini italiani. Il fenomeno osservato da Unimpresa riguarda principalmente i disoccupati e i working poor ovvero lavoratori precari o sottopagati: in particolare, questo bacino, negli ultimi anni, ha alimentato la fetta di poveri assoluti. Infatti, se i poveri, a partire dal 2005, sono più che raddoppiati, salendo da 2,4 milioni a 5,6 milioni, i “working poor” sono passati, negli ultimi anni, da 10,4 milioni a 8,5 milioni: un “saldo” negativo di 2,2 milioni che va letto come un passaggio da un’area a rischio alla povertà assoluta.
“Mentre vanno definiti sostegni, misure emergenziali e misure per il reinserimento a livello occupazionale per i poveri, è dunque indispensabile evitare che la situazione degli occupati in difficoltà peggiori ancora di più” spiega Longobardi.
I lavoratori a rischio povertà, a fine 2023, erano 8,5 milioni, in leggero calo di 28mila unità rispetto all’anno precedente (-0,3%). I disoccupati, tra il 2022 e il 2023, sono rimasti sostanzialmente stabili, con una lieve variazione negativa: sono passati da 2 milioni e 27 mila a 1 milione e 947mila, in diminuzione di circa 80mila unità (-3,9%). Tra i disoccupati, gli ex occupati sono passati da 1 milione e 129mila a 1milione e 55mila, in calo di circa 74mila unità (-6,6%); gli ex inattivi sono arrivati a quota 390mila in discesa di circa 3mila unità (-0,8%); coloro che sono senza esperienza di lavoro, infine, sono calati di 3mila unità (-0,6%), passando da 505mila a 502mila.
Quanto ai “working poor” (precari e sottopagati), questa categoria è passata da 6 milioni e 551mila soggetti a 6 milioni e 603mila soggetti, con una crescita di 52mila unità (+0,8%). Tra gli occupati instabili o a basso reddito, i lavoratori con contratto a termine part time sono passati da 867mila a 920mila, in aumento di 53mila unità (+6,1%); gli addetti con contratto a termine e a tempo pieno sono calati, invece di 93mila (-4,4%) da 2 milioni e 114mila a 2 milioni e 21mila; i lavoratori con contratto a tempo indeterminato part time involontario rappresentano un’altra fascia cresciuta, con un aumento di 17mila unità (+0,6%) da 2 milioni e 638mila a 2 milioni e 655mila; i lavoratori con contratti di collaborazione sono aumentati di circa 2mila unità (+0,8%) da 248mila a 250mila; gli autonomi part time, infine, sono cresciuti di 73mila unità (+10,7%) da 684mila a 757mila.
“Quello dei poveri è un vero e proprio dramma e chi, come me, ogni giorno trascorre del tempo tra le persone, nei negozi e nei mercati si rende conto delle difficoltà delle persone. Chi ha impresa e dà lavoro: crea dignità ed è proprio questo aspetto che sta venendo a mancare. La perdita di lavoro o una retribuzione da fame rappresentano un elemento di vergogna per molti, in tanti hanno timore di chiedere un aiuto economico. Dobbiamo combattere proprio questo e il governo, se davvero vuole mantenere le promesse fatte fin qui, deve creare le condizioni per far lavorare al meglio le imprese. Noi non crediamo nei sussidi a tempo indeterminato e siamo convinti che i posti di lavoro possano nascere solo dalle imprese, adeguatamente sostenute in termini normativi e in termini fiscali” aggiunge il presidente onorario di Unimpresa. (AGI)
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