di Dario Parrini
L’idea del senatore salviniano Borghi di presentare un disegno di legge per cancellare la raccolta firme digitale a supporto di una richiesta di referendum è grave in quanto esprime un modo di concepire la partecipazione popolare alle scelte politiche schiettamente illiberale e antidemocratico.
Che la Lega fosse ormai un partito di populismo senza popolo, e anzi impaurito dal popolo, lo sapevamo. Ma non potevamo immaginare che si arrivasse a tanto.
Invece di interrogarsi su come mai centinaia di migliaia di cittadini si sono mobilitati contro i tentativi della destra di governo di fare a pezzi l’unità nazionale e di impedire l’adozione di norme di civiltà sulla cittadinanza, Borghi, come quei malati che se hanno la febbre se la prendono col termometro, delegittima lo strumento che ha consentito a così tante persone di far sentire la propria voce su questioni di cruciale interesse collettivo.
Altra cosa sarebbe avviare una riflessione condivisa e ponderata, e soprattutto non strumentale, su una proposta che da anni gode di largo seguito nel mondo accademico: quella di prevedere con riforma costituzionale un innalzamento del numero di sottoscrizioni necessarie a promuovere un referendum, ovviamente alla tassativa condizione che tale modifica sia bilanciata da una riduzione del quorum per la validità dello stesso.
Questa sarebbe una discussione seria e moderna, e slegata da calcoli di bottega. Ma alla maggioranza questo tipo di discussioni non sembra interessare.