La Natura fece un gran dispetto ad Hercule Poirot; la vita gliene fece un altro. La prima lo dotò di un cervello sopraffino ma, la provocatrice, glielo infilò in una testa a forma di uovo. Un uovo: è da prima di Cristoforo Colombo che l’uomo tenta di piegarlo alle sue razionali volontà, facendolo stare in piedi a suo comando, ma non ci riesce mai. Forma vagamente ellittica, e come tale dotata di due fuochi anziché di uno. Non ha un centro, un punto di riferimento. Tutto ingobbito nella sua regolare irregolarità: curvo per il gusto di esserlo. E Poirot due cose odia: ciò che è curvo e ciò che non si può dominare con la sola razionalità. Ogni mattina, guardandosi allo specchio, deve aver sofferto indicibilmente.
La seconda – la vita – è stata meno raffinata, più banale, ma altrettanto cattiva: lo ha costretto a vivere in terra straniera a causa della guerra. Ma almeno a questo Poirot ha saputo reagire. Gliene siamo sinceramente grati: in caso contrario oggi non saremmo qui a ricordare i cent’anni di uno degli uomini più intelligenti che abbiano calcato le strade d’Europa.
Peccato non sia mai esistito.
Quando Agatha incontrò Jacques
Errore: è esistito e vanta un nome ed un cognome ben precisi. Agatha vide Hercule in un rifugiato belga, scappato dalle orde degli Unni (così i francofoni chiamavano i tedeschi all’epoca dei fatti) che gli avevano invaso la neutrale casetta all’alba dell’agosto 1914. Si chiamava Jacques Hamair ed aveva davvero la testa a uovo. Si incrociarono, in quel di Torquay nel Devon, in una serata per la raccolta di fondi in favore dei transfughi. Lei suonava il pianoforte, lui chissà che faceva. Probabilmente ciondolava spaesato. Fu una sorta di colpo di fulmine, anche se non certo una questione d’amore: lui non si sa che fine fece; lei tempo pochi anni e sarebbe divenuta, da Miller che era, la Signora Christie. Poirot non ha mai saputo farci molto, con l’altro sesso. Quanti anni avesse lei è cosa nota: 24. Quanti ne avesse lui resta cosa ignota. Inevitabile che anche sulla data di nascita di Hercule Poirot sussistano i dubbi.
Tutti lo dicono venuto al mondo nel 1920, ma sul resto c’è piena discordanza. La maggior parte degli esegeti parla di ottobre in un giorno da definire, altri di luglio e quelli che vantano altre certezze del 6 novembre. A questo punto si scelga una data più o meno mediana e non ci si pensi più. In fondo, conta poco.
Quel che conta è che la giovane Signora Miller alla fine non ne poteva più di quell’Hamair rivisitato, e due matrimoni più tardi rimpiangeva addirittura di averlo messo al mondo, sia pure su supporto cartaceo. Il fatto è che i personaggi troppo riusciti alla fine uccidono i loro stessi creatori, anche se sono stati immaginati per la funzione esattamente opposta. Cent’anni fa erano anche i tempi di Sigmund Freud, e si sa cosa egli teorizzasse sul rapporto tra genitori e figli.
Agatha Christie – è storia conosciuta – volle far morire la sua creatura già nel 1945 ma non ebbe il coraggio di farlo sapere se non trent’anni dopo. E anche lei, pochi mesi più tardi, dette l’addio al mondo dei vivi. Si erano consumati l’uno dell’altro ed insieme calarono il sipario.
il Grande Gioco
Non per far dispetto a Lady Mallowan (suo terzo e ultimo nome), che comunque a Poirot deve molti milioni dei moltissimi milioni di libri che ha venduto in tutto il mondo, ma non c’è che da essere contenti di tanta caparbia longevità. Questo perché Poirot non solo resta amabile nella sua detestabile saccenteria, ma ormai – lo si suol dire, ed è brutto, ma questa volta è anche un po’ vero – è parte di noi. Nel senso che come la testa di Poirot rappresenta per il suo proprietario un insuperabile paradosso, la sua vita mette la contemporaneità di fronte ad una serie di paradossi altrettanto insuperabili. Non fa piacere ammetterlo, ma è così.
Ci sono infatti due elementi che risaltano, nelle sue inchieste. Il primo è il suo essere totalmente belga, totalmente immerso nella cultura britannica, totalmente in grado di convivere con quella di altri paesi i più esotici. Se va a Rodi, per dire, sa gestire perfettamente una situazione in cui annoiati anglosassoni si eliminano l’un l’altro in un’isola greca a sovranità italiana nonché infarcita di elementi turchi. Tutto il contrario di Hastings, britannico fin nel midollo ad iniziare dal suo cognome che sa tanto di Guglielmo il Conquistatore. È perfettamente integrato, Hastings, ma solo nel suo paese. Uno che è uscito da Eton per fermarsi sul portone, perché in fondo non sa nemmeno attraversare la strada.
Eccolo invece, l’homo europaeus: è brevilineo e tondeggiante, cammina come un pinguino e porta ridicoli baffi perfettamente simmetrici. Ma non sbaglia un colpo e se ne gloria: “Nessuno è come me” constata soddisfatto dopo che un cadavere è stato trovato nello studio. Oppure quando due amanti diabolici su un barcone cullato dal Nilo trovano come unica via di fuga l’omicidio-suicidio. Senza scomporsi, lui li guarda non privo di pietà. Davvero un latino, Poirot, davvero un europeo. Moriarty è tutt’altra canaglia: sembra emerso da un gelido Maelstrom al centro dell’Atlantico e non suscita la minima comprensione, tantomeno in Sherlock Holmes.
Persino quando si deve confrontare con i nazisti, siano essi ancora al potere o sotto forma di ectoplasmi che tornano dal passato, Poirot non ne fa una questione ideologica. La sua è la partecipazione ad un Grande Gioco che si dipana sulle ali della razionalità nella lotta per il predominio nel Vecchio Continente, come in una pagina di John Alan Percival Taylor. Sì, la sua è ancora l’Europa delle Grandi Potenze in cui Hitler non è il male assoluto per il semplice fatto che già si sa si tratti di fenomeno sgradevole ma transeunte. A prima vista si direbbe autentica britannicità. In realtà è essenza europea in barrique: cara, senescente e disincantata Europa, il tuo più puro rappresentante è lì, alla corte di Albione, a far mostra di quel che sei veramente. Qui ci fermiamo, per tornare sul tema tra poche righe. Prima però ci preme fare un’altra constatazione, ancora sull’insostenibile leggerezza della rotondità.
Curvy è orribile
Si diceva dell’inappagata aspirazione di Poirot di dimostrare la superiorità dell’uomo sull’uovo. Nel suo mondo tutto è linea retta, tutto è razionale, niente è ricurvo. Persino i muffin lui li vorrebbe cubici: vuoi mettere, a spalmarli di marmellata. Mai bere un whisky, perché si sa che è di gusto rotondo. L’atrio della sua casa è un quadrato avvolto in un corpo di fabbrica di parallelepipedi giustapposti. Questo lascia intuire come mai, se di nazisti si parla assai poco, nei gialli di Poirot manchi del tutto un elemento che invece segnava il Belgio come l’Inghilterra o la Francia o l’Italia cent’anni fa esatti, quando Agatha esercitò su di lui l’arte della maieutica.
Parliamo della spagnola, l’epidemia micidiale che ne assassinò più o meno quanti ne aveva appena uccisi la Grande Guerra. La Christie doveva averla ben presente, se aveva fatto l’infermiera. Eppure nemmeno una riga, o quasi. Come mai?
Perché non c’è niente di meno calcolabile, o meglio di razionalmente spiegabile, di un virus che ora sappiamo essere dalla forma letalmente sferica. Morbo rigonfio che uccide del tutto al buio, con la stolida crudeltà dell’animale feroce non mosso dalla fame o dalla passione, ma da una natura distruttrice fine a se stessa. Il contagio lo si misura anch’esso con una curva, ohibò, e si abbatte sulle nostre teste in successive ondate la cui sommità si reclina in una cresta adunca e parabolica pronta a calare come una falce a mezzaluna.
No, non era quello il mondo di Poirot, e non è nemmeno questo. Non lo è anche perché la sua Albione ora volta le spalle alla sua Europa, rientra altezzosa e spaurita nel portone di Eton e se lo sbarra alle spalle. Che triste fine, Hercule Poirot: Brexit e pandemia chiudono il tuo secolo sigillandolo in una tempesta di irrazionale rotondità. Solvet saeclum.
E invece no, perché sfidiamo chiunque a non aver provato in questi tempi di ‘once and future lockdown’ a non aver provato nemmeno una volta la tentazione irrefrenabile di allungar la mano verso uno scaffale, e tirar giù un Poirot. O, in alternativa, a non aver provato un’ombra di sollievo nell’accendere il televisore e trovarsi di fronte David Suchet o Peter Ustinov
. Perché se fuori regna l’irrazionale, niente è più rassicurante del razionale che troviamo sul nostro comodino. Non importa, a questo punto, che esso sia racchiuso in una testa dalla forma vagamente ridicola e inidonea di un uovo.
Che sia così è cosa certa, perché lo sia resta un mistero. Un mistero che lasciamo volentieri al suo legittimo proprietario, Hercule Poirot. Chissà che un giorno ci sveli pure quello.
Vedi: Poirot, il mistero dell'uomo dalla testa a uovo
Fonte: cronaca agi