di Antonello Longo
Quando, nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1938, nella celebre conferenza di Monaco, i primi ministri di Gran Bretagna e Francia, Chamberlain e Daladier, con la “mediazione” di un Mussolini che recitava a memoria il copione scritto da Hitler, consegnavano al Fuhrer il benestare per occupare, dopo l’annessione dell’Austria, anche i territori della Cecoslovacchia abitati dai Sudeti, una sola voce si levò, chiara e forte, a difendere la ragioni dell’Europa e la dignità dei suoi popoli, suscitando l’ira del dittatore tedesco.
L’interprete di Hitler, Paul Schmidt, nel suo “Diario”, ha raccontato come, in quel momento cruciale della storia, nessuno dei capi di stato presenti nella Fuhrerhaus (la “casa del Führer” che ospitava il tiranno tedesco nei suoi soggiorni in Baviera, un palazzo costruito in quegli anni su un’area ricavata demolendo 64 edifici di proprietari ebrei. Oggi è sede universitaria) seppe tenere testa al capo del nazismo e a parlare con fermezza fu soltanto il Segretario generale del ministero degli esteri francese, che accompagnava il primo ministro Edouard Daladier.
Quel coraggioso diplomatico si chiamava Alexis Saint-Leger Leger. Venti mesi dopo, con i tedeschi sul suolo francese, in marcia verso la Manica, Leger fu destituito dal ruolo di Segretario generale. Egli allora, rifiutato il posto di ambasciatore in USA, decise di espatriare, attraverso l’Inghilterra, negli Stati Uniti. Il governo di Vichy, insediato dagli occupanti nazisti il 10 luglio del ’40, gli tolse la nazionalità francese e confiscò i suoi beni.
I nazisti saccheggiarono poi la sua casa di Parigi, distruggendo una gran quantità di manoscritti. Li distrussero perché in quelle carte cercavano chissà quali segreti di Stato ma, invece, trovarono solo tante… parole. E non erano gli esercizi di un dilettante qualunque, ma i versi di uno tra i più grandi poeti della storia del XX secolo.
Infatti, dietro (o, meglio, dentro) l’immagine di un protagonista della storia politica francese e internazionale c’era un poeta e letterato tradotto e letto in tutto il mondo, celato dallo pseudonimo Saint-Jhon Perse, col quale viene ricordato.
Discendente da antichi piantatori ed ufficiali di marina, era nato nel 1887 in un isolotto vicino alla Guadalupa, Saint-Léger-les Feuilles, che porta il nome della sua nobile famiglia. Nella terra d’oltremare Alexis passò gli anni dell’infanzia, nel 1899 la famiglia tornò in Francia dove compì gli studi a Pau ed a Bordeaux, prima di trasferirsi a Parigi e dedicarsi, su consiglio dell’amico Paul Claudel, alla carriera diplomatica.
Ma la luce e i colori, le piante e gli animali, la vita delle Antille rimasero alla base della sua ispirazione. Ad esse sono dedicate le prime opere di Saint-Jhon Perse, “Images à Crusoé” ed “Eloges” cui seguiranno “Anabase”, scritta all’ombra di un piccolo tempio taoista dopo cinque anni trascorsi a Pechino, “Exil”, “Vents”, “Amers” e tutte le altre sillogi, in un crescendo che lo porterà, nel 1960, a ricevere il Premio Nobel per la letteratura.
Ungaretti tradusse in italiano l’Anabasi nel 1931 e incontrò, poi, l’Autore a Roma nel 1935, ad un ricevimento in suo onore in casa dei Principi di Bassiano (c’erano anche Emilio Cecchi, Curzio Malaparte, Libero De Libero ed Enrico Falqui). Montale lo definì “il Nuovo Colombo della poesia francese”, dopo il Nobel ne scrissero anche Vigorelli, Quasimodo, Luzi, Caproni e tanti altri. Ma, non so perché, oggi, in Italia, Saint-Jhon Perse non è ricordato (questa, almeno, è la mia impressione) alla stesso modo delle altre voci di maggiore spicco della poesia del Novecento.
Io possiedo, dai primi anni ’70 del Novecento, una bella antologia curata da Romeo Lucchese (“Le luci della vita” per le Edizioni Accademia di Milano) ma confesso che, forse spaventato dal verso ipermetro, non vi ho mai dedicato, prima d’ora, il tempo e l’attenzione necessari.
Non è facile scegliere una strofe da condividere con le nostre lettrici e i nostri lettori; ma ci provo, estrapolando da una composizione scritta dal poeta quand’era poco più che ventenne.
Alors, les hommes avaient
une bouche plus grave, les femmes avaient des bras plus lents;
alors, de se nourrir comme nous de racines, de grandes betes taciturnes s’ennoblissaient;
et plus longues sur plus d’ombre se levaient les paupières…
(J’ai fait ce songe, il nous a consumés sans reliques.)
Allora gli uomini avevano una bocca più grave, le donne braccia più lente;
allora, col nutrirsi come noi di radici, grandi bestie taciturne si nobilitavano,
e più lunghe su più ombra si alzavano le ciglia…
(Ho sognato questo, e ci ha consunti senza reliquie.)
(Saint-John Perse, “Per festeggiare un’infanzia”, da Eloges, 1911)
Nella foto: Saint-John Perse fotografato nella sua residenza estiva di Giens, nel 1966. In quella casa il Poeta si spense nel settembre del 1975.