POETI DA RISCOPRIRE. Attilio Bertolucci


di Antonello Longo

L’alba del giorno festivo mi coglie con un libro bellissimo tra le mani: un’antologia delle poesie di Attilio Bertolucci (il papà dei due celebri registi, Bernardo e Giuseppe), uno dei grandi poeti del novecento italiano. L’edizione s’intitola “Al fuoco calmo dei giorni”, a cura di Paolo Lagazzi, Rizzoli, Milano, 1991. Sentite questi versi.

La rosa bianca

Coglierò per te

l’ultima rosa del giardino,

la rosa bianca che fiorisce

nelle prime nebbie.

Le avide api l’hanno visitata

sino a ieri,

ma è ancora così dolce

che fa tremare.

È un ritratto di te a trent’anni,

un po’ smemorata, come tu sarai allora.

 

(Attilio Bertolucci, da “Fuochi in novembre”, 1934)

 

Quando il poeta emiliano, trapiantato a Roma, scrisse questi versi era ancora un ragazzo poco più che ventenne, una donna di trent’anni gli sembrava riferibile soltanto ad un lontano futuro, tutto da vagheggiare! Ma era una donna reale quella cui pensava il poeta, la Ninetta (Evelina), conosciuta sui banchi del liceo, che sarà la moglie e l’amore per tutta la vita.

Questo è l’ordito della poesia di Attilio Bertolucci: guardare il tempo in prospettiva, mescolarlo con il turbamento dell’amore e la profondità degli affetti in un intreccio dalla straordinaria resa poetica.

Nel libro in cui ha raccolto le lettere e le poesie che raccontano dell’amore di Attilio e Ninetta, Gabriella Palli Baroni osserva che “le tenere immagini di Ninetta, cui Attilio pensa continuamente, nascono quasi sempre dall’osservazione e dalla descrizione del tempo meteorologico e dal paesaggio, componenti delle impressioni acustiche e visive della sua poesia” (Gabriella Palli Baroni, «Attilio e Ninetta Bertolucci. Il nostro desiderio di diventare rondini. Poesie e Lettere», Garzanti,  2020).

Sull’immagine delle api che, avide, visitano il fiore carnoso del giardino autunnale del Poeta, ho ritrovato un commento di Pietro Citati (articolo sul “Giorno” del 26 marzo 1971): “…questo miele è simile a quello di cui racconta Lévi-Strauss all’inizio di un libro famoso: miele che le api dell’America meridionale traggono da ogni sostanza e da ogni putrefazione così intenso, dolce e terribile, da poter essere impiegato sia come bevanda inebriante sia come veleno mortale; di cui si nutrono gli dei in cielo e che uccide gli uomini in terra.”

Di indigeni americani, di api, rane, giaguari ed eroine, ricordo di aver letto, qualche tempo fa, un saggio di Lévi Strauss che s’intitola “La deduzione della gru”. Ne fui molto colpito ma non saprei dire se Citati si riferisce allo stesso scritto, oppure ai “Tristi tropici” o ad altro. Che importa? Ormai è giorno fatto, lasciamo stare l’antropologia, mettiamo da parte la poesia, rituffiamoci nella vita quotidiana…

 

(Nella foto: Attilio Bertolucci con la moglie Ninetta)