Pnrr ma non solo. Contro i pieni poteri dei magistrati contabili


La forma è importante, ma la sostanza ancora di più. La decisione della maggioranza di governo di presentare un emendamento al decreto della Pubblica amministrazione con un articolo scritto per prolungare di un anno lo “scudo erariale” che limita la responsabilità contabile di amministratori e dipendenti pubblici ai casi di dolo e colpa grave e un articolo scritto per esautorare la Corte dei conti dalla vigilanza sul Pnrr, abolendo il cosiddetto “controllo concomitante” dei giudici contabili sull’utilizzo dei fondi del Piano, meriterebbe di essere considerato per quello che è: una prima sana boccata d’ossigeno per tentare di mettere il Pnrr al riparo da un sistema burocratico lento, ingovernabile, inafferrabile, incapace di riformare se stesso in tempi utili per non sprecare l’occasione di spendere i 190 miliardi del Pnrr. L’emendamento presentato dalla maggioranza è stato descritto dall’opposizione, e dai giornali del gruppo Gedi, come la spia evidente di una volontà esplicita del governo di portare avanti una gestione “autoritaria” dell’italia. Ma se si accetta per un attimo di rimuovere l’approccio da 25 aprile permanente adottato dagli avversari di Meloni per commentare ogni azione del governo si capirà facilmente che mettere il Pnrr al riparo dal cosiddetto “controllo concomitante” della Corte dei conti è il primo atto compiuto dalla maggioranza sulla gestione del Pnrr che meriterebbe di essere fortemente incoraggiato. Decidere di intervenire sulla Corte dei conti non è una ritorsione contro la Corte, che giorni fa aveva criticato il governo per aver messo a terra un livello di attuazione finanziaria sul Pnrr pari al sei per cento, ma potrebbe essere un modo finalmente concreto per evitare che il Pnrr resti in ostaggio di una burocrazia contabile drammaticamente specializzata in esondazioni fuori luogo. Sabino Cassese, giurista, ex ministro, membro emerito della Corte costituzionale, pochi giorni fa, intervenendo su Radio 1 ospite di Giorgio Zanchini, ha offerto sul tema un quadro di sintesi molto efficace. La questione è tecnica, certo, ma è anche politica, economica e culturale. La presenza di una Corte dei conti incaricata di portare avanti un controllo “concomitante”, dice Cassese, è una circostanza che si trova in aperta contraddizione con quanto sostiene la nostra Costituzione all’articolo 100.
La Corte dei conti, secondo la Carta, deve esercitare il controllo “preventivo di legittimità sugli atti del governo”, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello stato. Una Corte dei conti che viene invece incaricata di esercitare un controllo “concomitante” diventa una Corte che svolge un ruolo di cogestione, di corresponsabilità, e di fatto quel ruolo rappresenta un’esondazione dai propri compiti. Perché non si limita più a controllare qualcosa ma inizia a essere presente in ogni passaggio, in ogni curva, in ogni snodo del processo decisionale. Ed è un problema doppio, dice Cassese. Sia perché, in questo modo, si affida alla magistratura il ruolo di cogestione di un piano la cui gestione dovrebbe essere invece unicamente nelle mani del governo. Sia perché, così facendo, si sceglie di deresponsabilizzare un’amministrazione che dovrebbe avere il coraggio e la forza di fare delle scelte. Sintesi di Cassese: “Siamo in presenza di un’esondazione evidente di uno dei corpi dello stato. Un corpo che da un lato si presenta nei confronti dello stato come se fosse un sindacato che pretende dei poteri ulteriori e che per questo chiede incredibilmente al governo un tavolo di confronto come se non fosse un corpo dello stato. E dall’altro si intesta delle funzioni che tradiscono quello che dovrebbe essere il suo vero compito: controllare prima, controllare dopo, non controllare in ogni istante con il rischio di bloccare tutto”. In un paese che ha deciso di considerare l’immobilismo come l’unica forma di legalità consentita succede che la politica per lavarsi le mani da ogni responsabilità sceglie di moltiplicare i controlli contabili per non essere responsabile dei propri atti. Ma un paese che ha scelto di andare in questa direzione è evidentemente un paese che rischia di avere una traiettoria incompatibile con quella di chi deve fare molto presto “per non perdere tempo”, come dice il governatore di Bankitalia, su alcuni dossier cruciali come il Pnrr. Ed è un paese che rischia di non capire quanto urgente sia trovare un modo per generare efficienza accentrando il più possibile i processi decisionali e costruendo un sistema di gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che si trovi a metà tra il modello Figliuolo e il modello Genova. Vincenzo De Luca, governatore della Campania, ieri, con tempi comici formidabili, ha detto di avere avuto “una grande idea”. Ovverosia: “Dare la cittadinanza onoraria di Napoli a Fitto, perché possa fare un gemellaggio con il Vesuvio: sono i due più grandi produttori di fumo al mondo”. Intorno al Pnrr c’è molto fumo, ha ragione De Luca, e buona parte del fumo ha contribuito a produrla il governo, promettendo di modificare un Pnrr che nessuno sa ancora come e quando cambierà. Ma fare un passo in avanti per togliere i pieni poteri ai magistrati contabili – un passo fatto tra l’altro dopo aver in modo contraddittorio scelto giusto poche settimane fa un magistrato contabile come Carlo Alberto Manfredi Selvaggi alla guida della struttura di missione del Pnrr – e offrire per di più uno scudo agli amministratori pubblici più che un gesto autoritario è una prima boccata d’ossigeno, un primo passo per ragionare sull’efficienza dei processi decisionali e un primo tentativo di mettere il Pnrr al riparo da un sistema burocratico lento, ingovernabile, inafferrabile, incapace di riformare se stesso.

Fonte: Il Foglio