AGI – Se, come scriveva Jorge Luis Borges, il tango è “nato come un’orgiastica diavoleria, ed è diventato un modo di camminare”, nessuno come Astor Piazzolla ha accompagnato quei passi nel mondo adulto della musica contemporanea. Astor Pantaleon Piazzolla nasce cento anni fa, l’11 marzo del 1921, a Mar del Plata, Argentina. Radici italiane orgogliosamente rivendicate, infanzia e prima adolescenza a New York, cuore e anima nelle strade immense di Buenos Aires. La musica arriva prestissimo nella vita del piccolo Astor, che a NYC impara le prime note del bandoneon da un maestro argentino. A 14 anni un rocambolesco incontro in un hotel di Broadway lo mette sulla strada del leggendario Carlos Gardel, star internazionale e simbolo del tango nel mondo. Sembra un destino segnato.
Alle sue origini rioplatensi Piazzolla ritorna in piena adolescenza, siamo alla fine degli anni ’30, sta per iniziare quella che si definisce l’età dell’oro del tango argentino. L’Europa è alla vigilia della Seconda guerra mondiale, a breve il Vecchio continente tornerà a bruciare in un nuovo conflitto fratricida.
Ogni barrio una milonga
L’Argentina è lontana dal teatro di guerra e ne approfitta, vive un momento di crescita economica senza precedenti grazie alla colossale richiesta di prodotti agricoli e di allevamento da parte di tutti i paesi belligeranti. Buenos Aires aspira ai fasti della Parigi della Belle époque, tutte le sere nei cafè chantant della città si esibiscono le più grandi orchestre, migliaia di ballerini in doppiopetto e dame in lamè affollano i locali. Ma ogni barrio ha la sua milonga, e in un trasversalismo sociale senza precedenti, il tango è musica e danza di tutti, dai signori di calle Florida e di Recoleta agli scamiciati dei quartieri sud.
Il momento è irripetibile. Mentre lì fuori la società argentina ribolle e il peronismo è alle porte, i locali della città si riempiono di musicisti di primissimo piano e orchestre sontuose. Piazzolla è un talento fuori del comune e si fa strada, diventa in poco tempo il primo bandoneon dell’orchestra di Anibal Troilo, forse una delle più celebri orchestre di tango di sempre.
Ma Piazzolla non è solo uno strumentista raffinato, il suo talento è strabordante e i virtuosismi del suo bandoneon eccessivi. Troilo, che lo chiama ‘il gatto’ per l’eleganza dello stile, è costretto a tenerlo a bada durante i concerti, la gente ha bisogno di note semplici, deve ballare. Così pian piano il genio di Piazzolla comincia a sentirsi sempre più costretto nel mondo dei ‘milongueros viejos’, del conservatorismo della musica e dei costumi che rendono il tango un cliché sempre più abusato.
Elvis a Buenos Aires
La decade del ’40 volge al termine, la guerra in Europa è finita, la decadenza del tango e quella del Paese vanno a braccetto. I giovani argentini iniziano ad abbandonare il tango, non lo ascoltano più, non lo ballano. Nelle radio di Buenos Aires Elvis rimpiazza Gardel, il rock and roll arriva potente come una rivolta. Nel luglio del 1952 muore Evita Peron, un mondo è finito.
“Il tango non esiste più. Esisteva molti anni fa, fino al ’55, quando Buenos Aires era una città dove si vestiva il tango, si camminava nel tango, si respirava nell’aria un profumo di tango. Il tango di oggi è solo un’imitazione noiosa e nostalgica di quel tempo”, dirà Piazzolla che sta maturando la sua grande rivoluzione sonora. Nel 1957 mette insieme otto musicisti straordinari (il leggendario Octeto) e inizia un cammino che negli anni lo porterà a staccarsi dalla tradizione dell’orchestra tipica, mantenendo gli elementi di base, bandoneon, piano e violino, incorporando suggestioni prese dal jazz (sono gli anni di Gerry Mulligan e del ‘cool’ di Miles Davis), dalla musica sinfonica, da quella da camera.
Nemo profeta…
Piazzolla, che si muove tra Buenos Aires, Parigi e New York, riarrangia vecchi tanghi e li veste di sonorità nuovissime, ne compone di nuovi, ruba, innova, fa uso di dissonanze e di strumenti che mai erano stati avvicinati al tango, dal sax all’organo Hammond alla chitarra elettrica. Spezza la monotonia armonica, melodica, ritmica ed estetica del tango. Lo rivoluziona portandolo al suo limite estremo. Apprezzatissimo all’estero Piazzolla fatica a far accettare le novità in patria, il suo cosmopolitismo, la sua musica ‘colta’, si scontrano con la pigrizia di un mondo troppo legato alla tradizione.
La svolta definitiva si compie nel 1974, con un album che cambia le cose per sempre e consegna Piazzolla alla storia della musica contemporanea: Libertango, registrato a Milano con un pugno di musicisti italiani strepitosi (compreso Tullio de Piscopo alla batteria). Piazzolla è nell’Olimpo dei grandi. Alle accuse di tradimento dei puristi, lui risponde che “la mia è la musica di Buenos Aires e la musica di Buenos Aires è il tango”. I suoi rapporti con la madre patria sono difficili anche sul piano personale, alla fine degli anni ’70 l’Argentina vive la spaventosa dittatura militare, sono gli anni dei ‘desaparecidos’ e della repressione.
Piazzolla è ambiguo, non prende posizione contro la Giunta, collabora alla stesura dell’inno del Campionato del mondo di calcio del ’78, ma scrive anche le musiche di ‘Sur, El Exilio de Gardel’, film e atto di accusa contro il regime del regista Pino Solanas.
Il ‘gatto’ camminerà per sempre
Negli anni ’80, mentre in Argentina la polvere dell’oblio ricopre la grandeur del tango che nella migliore delle ipotesi si trasforma in folklore per turisti e nostalgia di un passato irripetibile, Piazzolla riempie i teatri d’Europa e del mondo. Grandi artisti come Mina, Milva, Grace Jones cantano la sua musica.
Muore nel 1992, celebrato come un monumento. Molti anni sono passati dalle prime note suonate nei locali da ballo della Buenos Aires che fu.
L’Argentina che all’inizio non lo capì o non volle capirlo riconoscerà la grandezza di uno dei suoi tanti figli geniali e ribelli. Piazzolla è Buenos Aires così come Buenos Aires è nella musica di Piazzolla, che risuona ancora nei passi dei milongueros sparsi per il mondo. Quei passi che, anche grazie a Piazzolla, “sono diventati un modo di camminare”.
Source: agi