Il tempo stringe e la Russia è a un passo da quella che sarebbe la sanzione più pesante di sempre nei confronti di una Nazione a livello sportivo. Tutta colpa del radicato doping di Stato rivelato nel 2014 e scoperto in tutti i suoi dettagli nel 2015. L’ultima violazione riscontrata dal Comitato indipendente di revisione della conformità (CRC) dell’agenzia mondiale antidoping (Wada) è quella di falsificazione e occultamento dei dati più sensibili del laboratorio antidoping di Mosca consegnati agli investigatori.
La Rusada – agenzia antidoping russa – non è credibile e per questo il Comitato ha raccomandato all’Esecutivo della sua agenzia di sostenere davanti al Comitato olimpico internazionale (Cio) di squalificare tutto lo sport russo per quattro anni. La decisione arriverà lunedì 9 dicembre quando la Wada si riunirà a Parigi. Poi la palla passerà al Cio che nel frattempo ha risposto promettendo “sanzioni il più severe possibili nei confronti dei colpevoli” perché le “falsificazioni sono un attacco alla credibilità dello sport e un insulto al movimento mondiale”.
Insomma, uno scenario difficile, complicato e soprattutto pesante. Se la Wada confermerà la proposta del suo Comitato e il Cio non avrà nulla da obiettare, significherebbe che la Russia – con i suoi atleti, la sua bandiera e il suo inno – sarebbe esclusa dalle Olimpiadi estive di Tokyo 2020. Non solo: anche dai Giochi invernali di Pechino 2022, dall’essere sede con la città di San Pietroburgo degli Europei multi-city di calcio del prossimo anno (4 incontri), dai Mondiali di calcio del 2022 in Qatar e da tutta una serie di eventi internazionali del resto già assegnati.
Negli sport individuali, per esempio nuoto o atletica leggera, gli atleti russi potrebbero gareggiare a titolo individuale e sotto la bandiera neutrale del Cio (in caso di Olimpiadi) o della federazione internazionale (in caso di Mondiali o Europei). Prima di tutto questo, però, servirà presentare documentazione di non aver aver mai assunto doping.
Dopo il parere espresso ieri dal Comitato indipendente di revisione della conformità dell’agenzia mondiale antidoping Wada, oggi è arrivata la risposta del Cremlino. Vladimir Putin – grande appassionato di sport come si è più volte visto lui stesso in azione sui tatami dello judo o sui pattini ed abbigliamento da hockey in sfide tra vecchie glorie (Nochnaya Khokkeinaya Liga) – tramite il suo portavoce Dmitri Peskov, ha detto che la Russia “era ed è pronta a collaborare con la comunità sportiva mondiale e con la Wada”.
Come nasce il caso russo
Come si è arrivati a questa situazione? Tutto nacque dalla confessione di un ex dipendente dall’agenzia antidoping di Mosca, Vitali Stepanov e delle rivelazioni di sua moglie, l’allora mezzofondista Yulia Stepanova. Tutto finì in un documentario trasmesso nel dicembre del 2014 sul primo canale (Ard) della televisione di Stato tedesca.
Emerse una corruzione legata a un largo uso di doping che coinvolgeva atleti, allenatori e funzionari della federazione di atletica russa (la Araf). Venne istituita una commissione indipendente con a capo Dick Pound che nel novembre dell’anno successivo mise a nudo il sistema di copertura con il coinvolgimento dei servizi segreti (FSB), il laboratorio antidoping di Mosca diretto da Grigory Rodchenkov (chimico, sostenitore del programma doping, insignito dell’Ordine dell’Amicizia dopo i risultati di Sochi 2014, poi ‘pentito’ e fuggito negli Stati Uniti e definito da Putin “imbroglione e mentalmente instabile”), e persino l’ex numero uno dell’atletica mondiale, il senegalese Lamine Diack.
I sospetti sono poi diventati certezze e la World Athletics (all’epoca la Iaaf) a fine novembre 2015 decise di sospendere la federazione russa (sanzione tutt’oggi in vigore). Seguì il rapporto di Richard McLaren che rivelò sia quanto accadde ai Giochi di Sochi 2014, dove la Russia dominò in tanti sport, che una stima molto vicina alla realtà degli atleti trattati con sostanze dopanti. Emerse che dal 2011 al 2015 vennero trattati con sostanze vietate più di mille atleti di circa trenta discipline sportive, tutti coperti da un sistema statale con al vertice il ministero dello Sport. Il Cio tolse le medaglie olimpiche agli atleti russi e riformulò “d’ufficio”, anche tramite le federazioni di competenze, le classifiche.
Nel frattempo a capo della Rusada è stato nominato Yuriy Ganus ma il 5 dicembre di due anni fa non riuscì ad evitare una nuova sanzione per la sua Nazione: la Russia viene bandita dai Giochi invernali di PyeongChang del 2018 e da ‘RUS’ è diventata ‘OAR’, acronimo di Olympic Athlete from Russia. Gli atleti olimpici russi vinsero i due ori più importanti secondo la loro tradizione, quello dell’hockey maschile e quello femminile nel pattinaggio di figura.
La riabilitazione della Russia, poi il nuovo rapporto
Nel settembre del 2018 la Wada riabilitò parzialmente il laboratorio di Mosca. La condizione, però, era che la Wada potesse avere accesso al vecchio database della struttura e al deposito di campioni di urina, tutti sigillati dagli investigatori russi (anche se Rodchenkov ha ammesso di aver distrutto volutamente 1.417 campioni). Adesso arriva il pesante rapporto del Comitato indipendente di revisione della conformità della Wada che rende altamente probabile la squalifica della Russia. Anche perché ad appesantire la situazione la conferma di nuove violazioni al codice antidoping da parte di tre atleti russi che nel 2012 si erano messi in luce alle Olimpiadi di Londra.
Il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna ha confermato la squalifica per la quattrocentista Yuliya Gushchina e la lunghista Anna Nazarova. In quanto al fuoriclasse dei tuffi Ilya Zakharov, campione olimpico di Londra del trampolino da tre metri e vincitore di ben dieci ori europei, dopo essere stato sospeso per 18 mesi per aver saltato tre test antidoping fuori competizione nel corso di un anno ha annunciato il ritiro: “Non ho mai fatto uso di doping, ho saltato i test e adesso inizia un nuovo capitolo della mia vita”.
Vedi: Perché la Russia rischia di essere esclusa dalle Olimpiadi di Tokyo
Fonte: sport agi