Perché gli ayatollah hanno impiccato un giornalista


AGI – La tragica fine del 47enne “giornalista e dissidente” Ruhollah Zam, impiccato a Teheran perché accusato di avere “fomentato la violenza” nelle manifestazioni di tre anni fa, avviene poco più di un anno dopo il suo arresto, avvenuto in circostanze misteriose mentre viaggiava dalla Francia, dove viveva da rifugiato con la famiglia, all’Iraq, nell’ottobre del 2019.

Figlio di un religioso sciita riformista, che ebbe pure un incarico governativo all’inizio degli anni ’80, da quando il regime dello Stato islamico lo accusava di collaborare con i servizi segreti stranieri e di sobillare le manifestazioni violente, si era rifugiato in Francia, tradizionale meta di tanti iraniani in esilio dai tempi della rivoluzione di Khomeini del 1979.

Quanto al padre, Mohammad Ali, in una lettera pubblicata dai media iraniani nel luglio 2017 aveva preso le distanze dalle posizioni del figlio e dai suoi messaggi diffusi su AmadNews. Viveva da anni con moglie e figli a Mantauban, nel sud ovest dell’Esagono, dopo aver ottenuto l’asilo come rifugiato, a cui si era negli ultimi anni aggiunta la necessità di una protezione ausiliaria.

I servizi francesi lo consideravano in serio pericolo: da un paio d’anni aveva una scorta personale e viaggiava su un’auto blindata. Oltre ad averlo avvisato dei rischi che correva continuando nella sua attività militante, i servizi francesi avevano cercato di dissuaderlo dal viaggio nella regione che avrebbe segnato il suo destino.

Quando, 14 mesi fa, i Guardiani della rivoluzione hanno poi annunciato la sua cattura, senza fornire ulteriori dettagli se non che Zam era “guidato dai servizi segreti francesi”, la notizia fu accolta con una “ferma condanna” da Parigi, e l’assicurazione di “seguire il dossier con grande attenzione”.

L’attività militante di Zam è di lunga data: già nel 2009 aveva criticato la rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad. Anche dall’esilio francese aveva continuato a utilizzare i social network per sostenere e rilanciare l’opposizione iraniana. Ma la “colpa” principale, quella che l’ha portato sulla forca, è stata il suo “ruolo attivo” nella mobilitazione dell’inverno di tre anni fa, quando le proteste, scatenate in quella occasione da un aumento dei prezzi, furono represse nel sangue e ci furono almeno 25 vittime oltre a 5 mila persone arrestate.

Lo strumento utilizzato dal giornalista era il canale di informazioni Amadnews, forte di 1,4 milioni di follower, la cui chiusura il regime iraniano aveva successivamente ottenuto dalla piattaforma Telegram. Per aggirare l’ostacolo, Zam aveva creato sempre sulla piattaforma di messaggistica un nuovo gruppo in cui promuoveva lo svolgimento di manifestazioni pacifiche. La sua attività era considerata da Teheran come provocatoria e l’allarme dei servizi francesi era cresciuto. I suoi “protettori” lo avevano avvisato dei rischi che correva, considerandolo “un bersaglio evidente”, anche perché riceveva ripetute minacce di morte telefoniche, così come i suoi familiari.

Anche i servizi di altri Paesi, fra cui il Mossad, avevano recentemente avvertito Parigi dei rischi che Zam correva anche restando in Francia. Non sarebbe stata la prima volta che un servizio segreto estero assassinava qualcuno sul suo territorio: si tratta di una minaccia che le autorità francesi considerano sempre presente, al punto che, nei mesi precedenti la cattura di Zam, secondo le fonti diplomatiche riportate dalla stampa francese, i rappresentanti di Teheran erano stati convocati e avvisati: la Francia non avrebbe accettato un simile crimine sul suo territorio.

Nonostante tutti i segnali e gli avvertimenti, il giornalista aveva continuato la sua attività da remoto, e in qualche caso si era mostrato insofferente rispetto a un “eccesso di controllo” da parte dei servizi francesi, pur accettando di buon grado il regime di protezione. Il desiderio di mantenere la sua libertà lo aveva però spinto anche ad accettare la proposta di alcuni finanziatori di fare quel viaggio in Iraq che si sarebbe rivelato fatale.

Secondo le ricostruzioni dell’epoca, sarebbe stato fortemente sconsigliato fino alla vigilia della partenza, avvenuta l’11 ottobre 2017, dai servizi francesi, che sospettavano si trattasse di una vera e propria trappola. Zam si era in quella occasione detto sicuro delle garanzie ricevute e in particolare della scorta di protezione che avrebbe trovato al suo arrivo. Il 16 ottobre 2017, le immagini della tv di Stato iraniana lo mostravano con le manette e gli occhi bendati seduto sul sedile posteriore di un’auto. Successivamente, la stessa tv trasmise il video di un suo “pentimento” davanti alla bandiera iraniana. Stamattina, l’annuncio dell’avvenuta esecuzione per impiccagione, sempre alla tv pubblica, ha scioccato il mondo intero. 

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Fonte: estero agi