Paolo Borsellino fu ucciso dalla mafia con 5 agenti della sua scorta nella strage di via D’Amelio


Domenica 19 luglio ricorre l’ anniversario della morte di Paolo Borsellino, il magistrato assassinato dalla mafia il 19 luglio 1992 con cinque agenti della sua scorta nella strage di via d’Amelio. Borsellino , insieme al collega ed amico Giovanni Falcone, è considerato uno dei personaggi più importanti nella lotta alla mafia in Sicilia e in Italia.

La strage di via D’Amelio
Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino insieme alla sua scorta andò in via D’Amelio, per una visita a sua madre. Lì esplose al passaggio del magistrato una Fiat 126 piena di tritolo, parcheggiata sotto l’abitazione della madre, uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, salvo solo perchè al momento dell’esplosione stava parcheggiando un’auto della scorta. Il 24 luglio circa 10.000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato; la moglie Agnese Borsellino accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L’orazione funebre la pronuncia Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che diresse l’ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi».

Il più giovane magistrato d’Italia
Borsellino fu sempre in prima linea contro la mafia. Nel 1963, quando entrò in magistratura vincendo il concorso, divenne il più giovane magistrato d’Italia. Iniziò il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965 quando venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme ad Emanuele Basile, capitano dell’Arma dei Carabinieri. Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo. Nel 1980 Borsellino continuò l’indagine sui rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille iniziata dal commissario Boris Giuliano (ucciso nel 1979), lavorando sempre insieme al capitano Basile. Intanto tra Borsellino e Rocco Chinnici, nuovo capo dell’Ufficio istruzione, si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell’Ufficio, come di “adozione” non soltanto professionale. Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne assassinato e fu decisa l’assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino.

Il maxi processo di Palermo si chiuse con 342 condanne, tra cui 19 ergastoli
Il 29 luglio 1983 Chinnici rimase ucciso nell’esplosione di un’autobomba insieme a due agenti di scorta e al portiere del suo condominio. Pochi mesi dopo giunse a Palermo da Firenze il giudice Antonino Caponnetto che decise di istituire presso l’Ufficio istruzione un “pool antimafia”, ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso, con una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso e, dunque, la possibilità di combatterlo più efficacemente. Caponnetto chiamò Borsellino a fare parte del pool insieme a Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Una scelta che diede ben presto i suoi frutti: il 29 settembre 1984 le dichiarazioni di Buscetta produssero 366 ordini di cattura mentre il mese successivo quelle di Contorno altri 127 mandati di cattura, nonché arresti eseguiti tra Palermo, Roma, Bari e Bologna. Il maxiprocesso di Palermo, frutto degli sforzi del pool, iniziò in primo grado il 10 febbraio 1986, presso un’aula-bunker all’interno del carcere dell’Ucciardone a Palermo, si chiuse il 16 dicembre 1987 con 342 condanne, tra cui 19 ergastoli. Il 19 dicembre 1986 Borsellino chiese ed ottenne di essere nominato Procuratore della Repubblica a Marsala. Proprio per questa nomina Borsellino fu attaccato dallo scrittore siciliano Leonardo Sciascia («nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso»). Un attacco che Borsellino citò solo dopo la morte di Falcone, parlando nel 1992 dello stato della lotta alla mafia dopo la Strage di Capaci: «Tutto incominciò con quell’articolo sui professionisti dell’antimafia».

La fine del pool
Nel 1987, mentre il maxiprocesso di Palermo si stava per concludere, Antonino Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti si attendevano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma il Csm nominò Antonino Meli. Borsellino dichiarò che «si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all’Ufficio», «hanno disfatto il pool antimafia», «hanno tolto a Falcone le grandi inchieste», «stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa». Dichiarazioni coraggiose per le quali rischiò un provvedimento disciplinare. Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Si iniziò a parlare di una Superprocura e di chi porvi a capo, Intanto Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì spingeva per l’istituzione della Superprocura.

Nel 1991 Cosa Nostra già progettava l’attentato a Borsellino
Cosa nostra nel 1991 già progettava l’uccisione di Borsellino. A rivelarlo fu il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, mafioso di Castelvetrano a cui il suo capo Francesco Messina Denaro aveva detto di tenersi pronto per l’esecuzione, che si sarebbe dovuta effettuare mediante un fucile di precisione o con un’autobomba. Prima che finisse il periodo di isolamento, Calcara decise di diventare collaboratore di giustizia e si incontrò proprio con Borsellino. Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e nel marzo 1992 vi ritornò come procuratore aggiunto, insieme al sostituto procuratore Antonio Ingroia.

L’attentato di Capaci
Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dello scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica, il segretario del Msi Gianfranco Fini diede indicazione ai suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica. Ottenne 47 preferenze. Poi fu eletto Oscar Luigi Scalfaro. Il 23 maggio 1992, in un attentato dinamitardo sull’autostrada di Capaci, persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Borsellino rilasciò interviste e partecipò a una serie di convegni per denunciare l’isolamento dei giudici e l’incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in un’intervista televisiva a Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di «condannato a morte». Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra.

 

Fonte: ilsole24ore.it