Osservatorio sul mercato del lavoro 2023 – “Le dinamiche del primo semestre e il punto sul salario minimo”


Nel trarre le fila delle dinamiche occupazionali del 2022, guardando al possibile andamento del mercato del lavoro per il primo semestre 2023, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali metteva in guardia media, politica e parti sociali dai rischi di facili ed eccessivi entusiasmi. Nonostante numeri in crescita, sostenuti anche dalla generalizzata ripresa dell’economia post COVID-19, lo scenario italiano sembrava infatti presentare all’orizzonte qualche criticità. Se, da una parte, la dinamica inflattiva e la complicata situazione internazionale lasciavano, infatti, presagire un possibile rallentamento nella crescita del nostro PIL, diversi fattori endogeni al mercato stesso portavano a immaginare una dinamica sì vivace ma ancora da consolidare.

Soprattutto sul versante del difficile incontro tra domanda e offerta del lavoro, individuato dagli estensori della pubblicazione come una delle maggiori vulnerabilità di un Paese nel quale, a fronte di una popolazione in età da lavoro pari a circa 38 milioni di soggetti, solo poco più di 23 milioni sono occupati attivamente. Al di là dei titoli sui record dell’occupazione, mentre (dati alla mano) le imprese faticano a reperire tanto figure tecniche quanto addetti a mansioni non specializzate, l’Italia, alla fine del secondo trimestre 2023, continua a essere fanalino di coda in Europa: il tasso di occupazione globale è del 61,5%, e persino la Grecia si posiziona più in alto con il 61,8% (70,5% la media UE) e il nostro Paese si colloca al di sotto della media europea anche per occupazione femminile (52,2%, anche qui leggermente peggio della Grecia a quota 52,8%, contro il 65,6% della media europea) e occupazione giovanile, dove è quartultima tra i 27 Paesi UE (20,5% contro una media del 35,3%). Solo poco meglio l’occupazione senior (dove l’Italia riesce quantomeno a superare Lussemburgo, Romania, Grecia, Croazia, Slovenia e Malta ma resta comunque distante dalla media europea (57% la percentuale nazionale, 63,8% il dato UE). Difficile dunque immaginare di ridurre la povertà se solo poco più della metà delle persone tra i 55 e 64 anni lavora e se la differenza tra chi è in età da lavoro e chi lavora effettivamente è di quasi 15 milioni di persone.

Premessa la necessità di intervenire profondamente anche sul sistema di istruzione-formazione, operazione strutturale dai tempi inevitabilmente prolungati, l’ultimo Osservatorio poneva l’accento sulla messa in campo di interventi correttivi di rapida attuazione e, in particolare, sull’utilizzo efficace e intensivo di politiche attive per il lavoro, peraltro già ampiamente prescritte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ritenuti poco efficaci (al netto di qualche caso mirato), viceversa, incentivi economici come la decontribuzione parziale o totale che, oltre a non contribuire significativamente a quantità e qualità dell’occupazione italiana, hanno fin qui ingrossato un debito pubblico già enorme che, difficilmente, potrà sostenere un ulteriore incremento di spesa pubblica in futuro.

In attesa allora di analizzare gli effetti dei provvedimenti dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, a cominciare dal Decreto Lavoro e dall’abolizione del reddito di cittadinanza, con conseguente attivazione per gli ex percettori della nuova piattaforma Siisl (Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa), diventa inevitabile porsi alcune domande: considerati i dati primo semestre 2023, quali prospettive per il nostro mercato del lavoro? I recenti trend positivi sapranno confermarsi o subiranno una battuta d’arresto (di pari passo con il rallentare dell’economia?)

Proseguendo le finalità istitutive della collana a cadenza semestrale curata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, questo numero dell’Osservatorio si pone l’obiettivo di rispondere a questi interrogativi: una risposta essenziale anche ai fini della sostenibilità del nostro welfare state. Basti pensare che, nonostante l’incremento di lavoratori registrati dopo l’emergenza sanitaria da COVID-19, il Decimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale stima in 1,4215 il rapporto attivi/pensionati per il 2021 (ultimo anno di rilevazione disponibile): ancora distante, dunque, da quell’1,5 che rappresenterebbe la soglia minima necessaria per la sostenibilità di medio-lungo termine di un sistema pensionistico a ripartizione come quello dell’Italia, che – non bisogna dimenticare – essere alle prese con un importante fenomeno di invecchiamento demografico.

Ridurre l’enorme spesa assistenziale, spesso impropriamente contabilizzata sotto il capitolo “pensioni”, e aumentare i tassi di occupazione, guardando tanto alle esigenze specifiche dei giovani quanto a quelle della quota crescente di lavoratori over 55, sono le vere sfide di governo e opposizione nei prossimi mesi. Un accordo bipartisan nell’interesse del Paese, e non delle parti, sarebbe l’unica soluzione.

Fonte: Itinerari previdenziali