Il ruolo dell’Arma dei Carabinieri in quei momenti tragici e contradditori del 1943
Di Ettore Minniti
La Benemerita aveva il compito, unitamente ad altre unità, la difesa delle coste e delle ferrovie, tramite un servizio di vigilanza attraverso le stazioni dei carabinieri dislocate lungo le coste.
Il Comando Generale dei Carabinieri Reali, qualche mese prima dello sbarco degli anglo-americani in Sicilia, emanò una circolare per istruire i militari sul comportamento da adottare nei mesi a venire. L’ordinanza prevedeva che i:
- carabinieri della territoriale rimanessero al loro posto al fianco delle popolazioni per assicurare l’espletamento dei compiti di istituto civili (ordine pubblico e polizia giudiziaria) e militare (protezione impianti industriali e di pubblica utilità)
- carabinieri assegnati alle Unità delle Forze Armate, di seguirne la loro sorte.
I fatti bellici del 09 e 10 luglio 1943, in parte, sono noti a tutti.
Dopo lo sbarco le autorità americane internarono tutti i militari italiani, senza distinzione, compresi i carabinieri.
Atti di vandalismo e i continui saccheggi richiedevano capacità di controllo del territorio, cioè una forza di polizia che i militari anglo-americani non erano in grado di assicurare.
Per questa ragione decisero di ripristinare la struttura territoriale dei Carabinieri Reali e il 4 agosto 1943 (dopo appena 25 giorni dallo sbarco) nacque a Palermo il Comando Superiore Carabinieri Reali della Sicilia alle dipendenze degli “Affari Civili” dell’AMGOT, con competenza sull’ordine e la sicurezza pubblica.
Facciamo, però, un passo indietro, è ricordiamo, in tale contesto storico, il loro ruolo della Benemerita nella c.d. ‘battaglia di Gela’.
“10-12 luglio 1943. I militari del dovere ‘usi obbedir tacendo e tacendo morir’ sono all’opera: fanno evacuare le abitazioni della fascia costiera, danno consigli, assistono i bisognosi, reprimono tentati di saccheggio indiscriminati, prevengono i delinquenti. Ovunque sono i carabinieri, alfieri, che garantiscono l’ordine sociale e la tranquillità del popolo laborioso: sono angeli custodi e giudici severi. (Tra i paracadutisti o rangers americani e i carabinieri) la lotta inizia ed è violentissima. Si combatte a distanza: i nemici colti di sorpresa, si disorientano e si ritirano … i carabinieri riescono a contenere la prima spinta dell’avversario … poi, esaurite le munizioni, vengono circondati dai paracadutisti e quindi sopraffatti … tutti vengono chiusi in un campo di concentramento’ … altri cadono sul terreno … compresi gli otto carabinieri della caserma di Feudo Nobile. Molto il popolo italiano deve a questa benemerita Arma che, fedele nei secoli ai supremi ideali della Patria, ha sempre dato in pace e in guerra un tributo considerevole di sangue generoso” (liberamento tratto dal libro ‘La battaglia di Gela’ di Nunzio Vicino).
Sul versante siracusano, lo stesso giorno, encomiabile il ruolo della Stazione dei Carabinieri di Cassibile e del suo comandante Onestini Michele. Arruolato nella Benemerita a soli 18 anni partecipò alla Prima Guerra Mondiale in vari fronti. Continuò la sua carriera dopo l’esperienza della Grande Guerra nell’Arma dei Carabinieri fino al 1937. Fu richiamato in occasione del Secondo Conflitto Mondiale e inviato a Cassibile nel settembre del 1940 come comandante della stazione locale.
Il 10 luglio 1943 durante la notte dello sbarco degli alleati il nostro comandante fu fatto prigioniero. La sua fortuna volle che fosse trasferito nel campo di raccolta prigionieri improvvisato al Gelsomineto e riuscì a scappare con l’aiuto di un suo amico. Ritornò in caserma che era sotto il comando della polizia inglese e si dichiarò quale comandante dei Carabinieri della locale stazione.
Nella sua stazione dei Carabinieri faceva servizio anche il carabiniere Francesco Cascone, natio di Santa Croce Camerina nel ragusano, ucciso in combattimento a Santa Teresa Longarini e insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare.
La motivazione della medaglia così recita:
“In servizio perlustrativo in prossimità del litorale Mediterraneo ove erano in atto operazioni di sbarco alleate per l’invasione dell’ isola, ingaggiava da solo accanito combattimento contro l’Avversario per contrastare il passo.
Ripetutamente e gravemente ferito respingeva l’intimazione di resa, finché colpito a morte da un’altra raffica di mitragliatrice si abbatteva al grido di “Viva l’Italia”.
Nobile esempio di coraggio, di amor di Patria, di onore e di salde virtù militari.
Santa Teresa Longarini (SR) 10 luglio 1943”.
Questo solo per ricordare quanto è avvenuto nella Sicilia orientale luogo dello sbarco che andava da Porto Empedocle a Siracusa, tralasciando tutto il resto, appare opportuno segnalare che il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, capo della polizia e dei Servizi di sicurezza tedeschi a Roma, la notte del 7 ottobre 1943 inviava un telegramma a Berlino. L’oggetto della missiva è “il disarmo dei Carabinieri reali”.
E in questa atmosfera di odio implacabile che si inquadra il tetro episodio delle Fosse Ardeatine.
Negli otto mesi dell’occupazione tedesca in Italia, 141 Carabinieri sono caduti, falciati dal piombo nazista, con il nome della Patria sulle labbra, fedeli al giuramento prestato alla bandiera, fedeli soprattutto, al loro credo di onestà, di abnegazione, di sacrificio.
Quando il comando tedesco decise l’eccidio delle Fosse Ardeatine, questi eroi appartenenti all’Arma vennero incatenati e condotti sul luogo del sacrificio, insieme con gli altri sventurati ostaggi condannati alla terribile fine. I carabinieri giunsero a testa alta; il tenente Fontana, con voce ferma, rivolto ai commilitoni e compagni di sventura, esclamò «Siamo uomini e Italiani, dobbiamo affrontare il destino da uomini e da Italiani». Aveva ventisei anni. La scarica di mitraglia si abbatté su quei martiri, implacabile (fonte: carabinieri.it).
Ma questa è un’altra storia