Oltre Parler, ecco le piattaforme della destra Usa 'alt right'


AGI – In cerca di uno spazio a destra. Twitter e Facebook hanno zittito Trump e Parler, il social sul quale si erano riversati i sostenitori del presidente uscente, non è più accessibile. Google e Apple hanno estromesso l’app dai loro negozi digitali e Amazon l’ha cacciata dai propri server.

E così la piattaforma che si stava imponendo come il Twitter di estrema destra è diventata irraggiungibile. Quell’ambiente politico che va dal suprematismo bianco al partito repubblicano cerca così nuove arene online ritenute libere da censura.

Crescita e caduta di Parler

Al momento della caduta, secondo i dati di SensorTower, Parler era stata installata 10,8 milioni di volte da App Store e Google Play (8,7 milioni negli Stati Uniti).

Colpisce la crescita: 9,6 milioni di installazioni (7,8 milioni negli Usa) sono arrivate solo nel 2020. E tra il primo e il 9 gennaio 2021, il periodo in cui ha ricevuto più visibilità dopo l’assalto al Campidoglio e il ban presidenziale, le installazioni sono state 864 mila.

Certo, sono numeri che vanno depurati. Perché installare non vuol dire usarla e perché tra i nuovi utenti ci sono molti curiosi che non condividono le idee politiche maggioritarie su Parler. Ma la crescita racconta comunque quanto sia forte la domanda di uno spazio alternativo. 

Gab, la nuova arena

Con Parler offline, la piattaforma di riferimento è diventata Gab, social molto simile a Twitter che dalla sua fondazione (nel 2016) si è distinto per i contenuti antisemiti e razzisti.

In un post, il Cto di Gab Fosco Marotto afferma che, in un solo giorno, la piattaforma ha ricevuto 600mila nuove iscrizioni. Una mole di traffico che ha obbligato la società a occupare nuovi server (che non poggiano sull’infrastruttura di Amazon o Google). Il fondatore Andrew Torba ha chiamato a raccolta gli utenti “contro la tirannia” di Apple e Big G.

Social e wiki: la costellazione di destra

L’estrema destra ha costruito nel tempo una costellazione di siti che il più delle volte (come Gab co Twitter) replicano altre piattaforme. Spesso hanno vita breve. Non sempre. Rumble è uno Youtube di destra fondato nel 2013. Tra video generalisti di cuccioli e sport, dà visibilità esclusiva ai leader repubblicani e a contenuti anti-democratici, proibendo però video di esplicito incitamento all’odio (anche se il confine con la propaganda e la disinformazione resta labile).

 Il ceo Chris Pavlovski ha riferito al New York Times “una crescita esplosiva” a partire dalla scorsa estate, con una ulteriore accelerazione dopo le elezioni presidenziali. Un altro emulo di Youtube era PewTube, attivo fino al 2018. Nel 2020 c’è stato il tentativo di rianimarlo, ribattezzandolo NoteTube, che però al momento è poco più di una scatola vuota.

Il simil-Reddit Voat, fondato nel 2014, ha chiuso lo scorso dicembre per ragioni economiche. Le cose si erano messe male già da alcuni mesi. Ma, ha spiegato il fondatore Justin Chastain nel suo messaggio di commiato, si è comunque cercato di arrivare oltre le presidenziali.

È invece ancora attivo 8Kun, rinato dalle ceneri di 8chan dopo la chiusura del 2019. Otto, la cui pronuncia inglese somiglia molto a quella di hate (odio). Il che fa già capire quali contenuti veicoli. Per restare online il più possibile, ha accettato di eliminare i contenuti “contrari alla legge” statunitense. Una definizioni che, di fatto, consente di ospitare discussioni che incitano all’odio razziale e richiami al nazismo.

Nella costellazione delle repliche c’è anche Infogalactic, la Wikipedia di destra. Per grafica e funzionamento è molto simile all’originale, ma con un controllo delle fonti più disinvolto.

E con un racconto dei fatti partigiano. Ad esempio, Biden non è ancora definito come “presidente eletto”. Nella pagina dedicata a Trump, si limita a dire che “il 7 novembre 2020 molti media maistream hanno affermato che Biden ha vinto le elezioni”. E c’è persino un sito di appuntamenti per “cristiani” e “nazionalisti bianchi”: WASP.love.

Il ruolo dei social nell’assalto al Campidoglio

I numeri di queste piattaforme sono comunque tutto sommato ridotti rispetto all’eco che possono avere gruppi – più o meno ufficiali – su Facebook e Twitter. Alex Newhouse, ricercatore del Center on Terrorism, Extremism, and Counterterrorism del Middlebury Institute of International Studies, traccia le attività social dell’estrema destra.

In un articolo pubblicato su TheConversation, afferma di aver notato un intensificarsi dell’attività già da metà dicembre. È da allora che i sostenitori di Trump hanno iniziato a parlare di possibili azioni per impedire la ratifica del voto, ponendo come obiettivo proprio il Campidoglio, proprio il 6 gennaio. Tutto questo non su piattaforme blindate e gruppi segreti ma su Twitter e Facebook, oltre che su Parler.

I rischi di una radicalizzazione

Come dimostrano i dati di SensorTower e quelli pubblicati da Gab, c’è una popolazione di utenti che migra. Con quali possibili conseguenze? Intervistato dal New York Times, Shannon McGregor, ricercatore del Center for Information, Technology and Public Life, ha sottolineato i rischi legati alla proliferazione della disinformazione.

Ma si è anche detto scettico sulla possibilità che la migrazione di utenti possa trasformarsi in un abbandono permanente di Facebook e Twitter: “Quanto durerà senza nessuno con cui discutere, senza media e giornalisti ai quali reagire?”.

In altre parole: lo scontro è necessario per diffondere idee per definizione divisive. Attenzione però a sottovalutare l’auto-ghettizzazione social: secondo Emerson Brooking, analista dell’Atlantic Council intervistato dall’Independent, c’è un doppio effetto potenziale.

Da una parte, “i sostenitori occasionali di Trump riceveranno meno messaggi”. Quindi la platea è destinata ad assottigliarsi. Dall’altra, ci saranno però “milioni di sostenitori accaniti” che si precipiteranno “in qualunque spazio online occupi” il presidente uscente. Si tratta di “un gruppo più piccolo ma più devoto”, che potrebbe diventare “estremamente radicalizzato”. 

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Fonte: estero agi