"Oggi le mie canzoni vengono da dentro", Nino D'Angelo racconta il suo ultimo lavoro


AGI – Si intitola “Il poeta che non sa parlare” l’ultimo disco di Nino D’Angelo, così come lo definì la maestra ai tempi delle elementari, che è anche il titolo di un romanzo, edito da Baldini+Castoldi. Forse Nino D’Angelo per troppo tempo si è (o l’hanno) “nascosto” dietro alla figura dello scugnizzo napoletano che riscatta attraverso la musica in dialetto la propria difficile condizione; rimanendo un uomo di strada qualunque con in tasca una bella voce e qualche intento romantico, da poeta, appunto.

Ma la verità, siamo sicuri già da diversi decenni, è tutt’altra; e questo disco non solo la conferma ma proprio la certifica: Nino D’Angelo è un poeta e sa pure parlare, anzi, è capace di pubblicare un disco musicalmente articolato, di grande spessore, di estrema raffinatezza, da cantautore puro e maturo.

Forse è lo stesso largo pubblico italiano che, magari per pigrizia, lo ha incasellato in quella figura cinematografica degli anni ’80 e lì lo ha lasciato e lì pretende di ritrovarlo, a prescindere dalla sua attività artistica, che nel frattempo si è impreziosita, forte di un dinamismo irrefrenabile, la continua necessità di comunicare la propria visione e la capacità di farlo senza snaturarsi mai. “Il poeta che non sa parlare” è un’opera intensa che ci restituisce, nuovamente, uno dei personaggi dello showbiz più interessanti della nostra epoca.

Intanto complimenti per il disco…

Grazie, grazie veramente, abbiamo bisogno degli apprezzamenti. In questo momento difficile per fare questo disco abbiamo lavorato tanto. Fare un disco con la provvisorietà accanto non è facile.

Cos’è che ha pensato una volta chiuso il disco?

Ho pensato: chissà se la gente è pronta per ascoltare un disco. Perché la gente ha tanti problemi e più problemi c’ha meno tempo ha per consolarsi un po’, per ascoltare la musica…ho pensato a loro. Però poi il pubblico mi ha smentito, perché erano quattro anni che non uscivo con un disco, quindi c’è stata una grande risposta.

È un disco molto poetico, io una volta finito l’ascolto mi sono chiesto se la discografia italiana è ancora un luogo adatto per la poesia…

La discografia non vede più i versi delle canzoni, vede i numeri. È cambiato il linguaggio, una volta si faceva attenzione alle belle canzoni, oggi no, oggi siamo tutti numeri di catalogo, prendono un nome e controllano quante visualizzazioni, non dischi, visualizzazioni fai. È diventato un mercato impuro di visualizzazioni, anche perché ormai la gente le visualizzazioni se le compra. Cose allucinanti.

Se è per questo si comprano pure gli ascolti su Spotify…

Pure quello? Allora di che stiamo parlando? Però i numeri valgono fino ad un certo punto, perché poi la gente sa ascoltare. Io sono un venditore di emozioni, è questo quello che siamo noi che scriviamo canzoni, finchè farò questo mestiere pensando di essere un venditore di emozioni potrò scrivere ancora qualche bella canzone, sennò, se devo fare i numeri, ho sbagliato tutto.

In realtà lei i numeri li ha fatti eccome…

Si, li ho fatti negli anni ’80, ma li vorrei fare anche adesso. Una bella canzone potrebbe farmi fare i numeri, no? Però non vorrei essere più considerato sui numeri, col caschetto biondo in testa…vorrei ricevere i complimenti per aver fatto un bel disco. Uno che sta un anno in studio di registrazione per fare un disco, poi è una bella soddisfazione se riceve i complimenti.

Lei ha una carriera molto lunga, che non è una cosa facile da mantenere…

…Cantando in dialetto napoletano tra l’altro. Io mi sono sentito sempre un po’ fuori dal mercato. Un po’ mi hanno messo fuori dal mercato, un po’ mi ci sono pure messo io; negli anni ’80 mi mettevano fuori perché vendevo troppi dischi, al contrario, avevano ghettizzato il genere che facevo io, come se non facesse parte della musica. Io invece facevo 20/25 film e per me era promozione, perché non mi facevano fare tanta televisione, mi consideravano un fenomeno locale, loro dicevano napoletano, ma io invece rappresentavo tutto il sud, vendevo tanti dischi in Sicilia, in Puglia, non solo a Napoli.

…e oggi?

Oggi invece non me ne frega niente, perché finalmente posso cantare quello che voglio io, sono il produttore di me stesso, ormai la mia casa discografica sono io, io faccio tutto, mi assumo tutta la responsabilità. Ma quando sei un cantante che deve fare solo numeri la devi dare qualcosa al pubblico, perché se vuoi fare numeri devi fare quello che ti dice il pubblico, non hai la libertà di fare quello che vuoi tu. Quando ero ragazzo facevamo i dischi e pensavamo “manca una canzone sulla scuola” e la facevamo, oggi no, prendo carta e penna e se voglio parlare di questo momento ne parlo, se voglio dedicare una canzone a mia moglie gliela dedico, non c’è nessuno che mi dice “questo si e questo no”. Le canzoni di oggi mi appartengono di più, quelle degli anni ’80 appartengono più al pubblico, perché ero ragazzino, oggi le mie canzoni vengono da dentro.

In questo disco di argomenti ne affronta una grande quantità, in “Voglio parla sulo d’ammore” prende di mira un po’ anche tutta la situazione politica attuale…

Noi viviamo una provvisorietà senza fine, siamo tutti provvisori. Sono due anni che non sappiamo se ci possiamo organizzare per il futuro, io non so se posso fare un concerto a ottobre, a novembre o a dicembre. Ce l’ho con la politica perché quando la pandemia fa mille morti al giorno non puoi fare cadere il governo; poi lasciamo perdere se stavano facendo bene o male, ma non si può fare, è da irresponsabili far cadere un governo durante una pandemia. Si è fatta troppa politica mentre stavamo in guerra e invece di pensare a salvare i soldati hanno pensato a rifondare questa politica provvisoria. Magari stiamo andando bene e Draghi è bravo, non so, non sto facendo un discorso di destra o di sinistra, parlo della politica in generale. Per questo ho scritto questo brano, non ce la faccio più a sentire “comando io, comandi tu”, questi si sono dimenticati che c’erano mille persone al giorno che morivano e hanno fatto cadere il governo, una cosa per me assurda…

A questo proposito, noi (speriamo) siamo alla fine di questo tunnel e presto magari si tornerà alla normalità. Lei si è fatto in questi due anni un’idea sulla considerazione che le istituzioni hanno di lei in quanto lavoratore dello spettacolo?

Noi dello spettacolo abbiamo pagato più di tutti ed è una cosa assurda. Hanno pensato che tutti si chiamavano Nino D’Angelo o Baglioni o Ramazzotti. Quelli che lavorano con noi sono operai, sono persone normali, non guadagnano quanto Nino D’Angelo o Baglioni. Noi difendiamo il nostro amore per difendere una categoria, ognuno di noi c’ha 20/30 persone che lavorano, questi non hanno mangiato proprio. Io non voglio difendere me o i miei colleghi, che ringraziando Dio non abbiamo avuto problemi, ma quelli che lavorano con me non lavorano da due anni, e non c’ha pensato nessuno. Questo è stato un dramma enorme.

Nel suo disco c’è anche una dedica a Maradona…cos’è che le viene in mente pensando a Maradona?

Io posso soltanto dire che Maradona è stato un grande amico e gli ho voluto bene. Quando io sono arrivato a Napoli ero già molto popolare, erano gli anni d’oro e per strada ricordo che c’erano i manifesti che dicevano “Napule tre cose tene ‘e bell: Maradona, Nino D’Angelo e ‘e sfugliatell” e il manager di Maradona di allora credeva che fossi il solito napoletano furbo che approfitta dell’immagine di Maradona per far uscire fuori il proprio nome. In realtà l’avevano messi i miei ammiratori, così ricordo che la società del Napoli, quando si accorse che ero veramente così popolare, mi ha chiamato un giorno dicendomi “Maestro D’Angelo, Maradona la vorrebbe conoscere”. Appena ci siamo conosciuti siamo diventati molto amici, la sera andavamo a mangiare a casa del capitano Bruscolotti, che a Diego gli piacevano gli spaghetti aglio e olio; avevano una casa che era come una discoteca e lui si metteva a ballare con la moglie. Sono stati dei momenti felici, Diego era una persona eccezionale, solo chi l’ha conosciuto veramente lo può capire, una persona di un’umiltà che faceva paura e forse questo l’ha rovinato un po’, forse ha dato troppo spago, si dava troppo”

Ma lei quando ha scoperto di essere il mito Nino D’Angelo? C’è un momento particolare in cui si è accorto che qualcosa era cambiato?

Io posso dire qual è il momento in cui mi sono accorto di aver risolto tutti i problemi. Una mattina mi sono svegliato e c’era mia moglie che stava facendo i servizi di casa e aveva addosso un jeans e una maglietta, io la guardai e scrissi “’Nu Jeans E ‘Na Maglietta”. Poi le dissi: “Sei proprio una donna fortunata, hai sposato un uomo ricco”, anche se io allora non tenevo una lira ancora, le dissi “Abbiamo risolto tutti i problemi della nostra vita”. Avevo indovinato la canzone e così è stato, “’Nu Jeans E ‘Na Maglietta” ha risolto tutta la mia vita.

Qual è il suo rapporto con la musica napoletana di oggi? Perché esiste una scena rap molto attiva e molto interessante, anche se se ne parla pochissimo. Quando prima mi ha detto che lei negli anni ’80 veniva ghettizzato mi sono venuti in mente loro…

Eh pensa a quanti sono i rapper, io ero da solo ed erano tutti contro di me. Avevo tutto questo mondo contro, non mi mettevano nelle classifiche ma facevo comunque numeri spaventosi. Io ho subito tanto e ora sembra che mi piango addosso, ma a me non piace piangermi addosso, io sono stato un uomo fortunato, faccio il lavoro che volevo fare, ho realizzato i miei sogni.

C’è qualcosa che l’ha particolarmente ferita?

Mi sono successe tante cose. Quando hanno fatto l’evento per Pino Daniele a Napoli non mi hanno invitato. Io che ho cantato con lui a piazza del Plebiscito, sono tra i musicisti più conosciuti a Napoli, e non glie n’è fregato niente a nessuno. Quella è stata un’ingiustizia esagerata.

Lei crede di aver pagato questa idea di passare, erroneamente, per un neomelodico? Tanti artisti la vedono come il santino di questo movimento…

Si, perché loro provengono da una costola del Nino D’Angelo degli anni ’80, ma loro hanno fondato il movimento neo melodico, non io, io ero Nino D’Angelo; loro hanno cercato di imitare quel Nino D’Angelo e col passare del tempo si è formato quel movimento. Ma il neomelodico è nato nel ‘94/’95 e io non c’entravo niente, già andavo a Sanremo con “Senza giacca e cravatta”.

In generale cosa ne pensa del neomelodico?

È una bella parola neomelodico, ma ora è diventato un calderone dove rientra chiunque canta in napoletano e questo non va bene, noi non possiamo fare di tutta l’erba un fascio. Non può essere, io ho quasi 50 anni di carriera, ho 64 anni, non potrei essere un neomelodico, magari un “veteromelodico”. Io non c’entro niente con i neomelodici, ma non perché ce l’ho con loro, anzi, ad alcuni voglio bene, alcuni sono proprio bravi, però non c’entro niente, io sono Nino D’Angelo, sono un’altra cosa.

Cos’è che a questo punto della sua vita e della sua carriera può desiderare ancora un artista come Nino D’Angelo?

Io penso di aver fatto tutto, ho fatto l’attore, il regista, il cantante, l’autore, il compositore…sono innamorato del teatro, mi piacerebbe fare un Eduardo De Filippo, è sempre stato il mio sogno e non ci sono mai riuscito. Mi piacerebbe fare una commedia di Eduardo in teatro, ma è troppo ambiziosa come cosa, Eduardo è Eduardo, che scherziamo? Però mi piacerebbe. Chi lo sa? Nella vita non si sa mai.

Source: agi