Di Marco Iasevoli fonte@avvenire.it
Tra 1 e 5,3 milioni bandi solo «in via residuale», per i Comuni maggiore facilità di spesa sino a 500mila euro. Salvini: è una rivoluzione. I sindacati: i cantieri diventeranno una giungla
Parla di «rivoluzione», Matteo Salvini. Ma ad esprimere preoccupazione sono, oltre ai sindacati, anche pezzi del mondo produttivo. Perché il nuovo Codice degli appalti pubblici licenziato ieri definitivamente in Consiglio dei ministri rappresenta una sostanziale “deregulation” rispetto a diverse norme di garanzia inerenti la trasparenza dei lavori pubblici, il trattamento economico e la sicurezza dei lavoratori. In particolare, viene sostanzialmente autorizzato il cosiddetto “subappalto a cascata”, ovvero il subappalto del subappalto, prima vietato. Così come viene resa strutturale la normativa d’emergenza dell’era Covid, che prevede il ricorso alle gare solo in via residuale e con motivazione formale per i lavori che vanno dal milione a 5,3 milioni di euro, la soglia comunitaria. Una scelta, quest’ultima, che preoccupa pure i costruttori dell’Ance per i possibili impatti sulla concorrenza. La Lega, invece, la rivendica, affermando che tagliare le gare porterà ad un risparmio sui tempi, nonostante gli stessi osservatori delle associazioni datoriali dicano che il tempo di espletamento delle gare rappresenta una percentuale minima delle lungaggini burocratiche del Paese sulle opere pubbliche.
Il testo, che porta anche la firma del Consiglio di Stato e rappresenta uno degli obiettivi del Pnrr da raggiungere al 31 marzo, diventa vigente dal primo aprile, operativo dal primo luglio e, per la parte inerente la digitalizzazione dei contratti pubblici, dal primo gennaio 2024 per le stazioni appaltanti “qualificate” e dal luglio 2024 per gli altri operatori.
Proprio il tema della riqualificazione delle stazioni appaltanti è stato il nodo aperto sino all’inizio del Consiglio dei ministri. Sono ora ricompresi di diritto i Comuni grandi e i capoluoghi di provincia, mentre i piccoli Comuni avranno possibilità di procedere in autonomia e con affidamenti diretti sino ai 500mila euro, legandosi, per gli importi maggiori, la stazione “qualificata”.
Altro tema complesso, quello dell’illecito professionale che aumenta i poteri discrezionali in mano alla pubblica amministrazione per escludere le imprese dagli appalti. L’ultima revisione ha precisato meglio la “fattispecie” dell’esclusione.
Tra gli interventi più marcatamente politici, c’è anche il cosiddetto “dissenso costruttivo” per l’ente che si oppone a un’opera: in sostanza, chi non è d’accordo – sia Comune, Regione, Sovrintedenza o altra autorità – dovrebbe indicare una soluzione alternativa.
Una soluzione a metà è stata invece trovata sugli adeguamenti dei prezzi se i rincari superano il 5%: tuttavia, non ci sono gli “automatismi” in cui confidavano le imprese ma ristori parziali sugli extracosti. Torna a far capolino nel sistema nazionale anche l’appalto integrato, ovvero l’assegnazione in un colpo solo di progetto e lavori. Salgono inoltre a 140mila e a 150mila euro i valori delle forniture di servizi e forniture affidabili senza gare. Contro la cosiddetta “paura della firma”, il governo afferma che «non costituisce colpa grave» dal punto di vista amministrativo «la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti». Non manca un pizzico di “sovranismo” con il riferimento a meccanismo premiali per chi usa materiali italiani ed europei.
La Lega rivendica il pacchetto nel nome della «semplificazione e della sburocratizzazione». Mentre Feneal Uil e Fillea Cgil, in una nota congiunta, avvisano sul rischio che i cantieri diventino «una giungla». Anche Confartigianato e Cna lamentano il rischio di esclusione delle piccole-medie imprese dalle gare pubbliche. Mentre Elena Bonetti del Terzo polo ricorda come già le prime bozze avessero escluso il criterio della parità di genere, pur presente nella legge-delega.
La questione socialmente più spinosa è quella dei subappalti a cascata. Si recepiscono, è vero, indicazioni europee contrarie ai vincoli nazionali sulla materia. Tuttavia, la deregulation fa temere perché il nuovo Codice non prevede limitazioni percentuali per il ricorso al subappalto, non indica il divieto di subappaltare il subappalto, cancella l’obbligo di indicare, in sede di offerta, i possibili subappaltatori (anche se va considerata la “white list” delle imprese). Alla stazione appaltante resta la possibilità di indicare lavori non subappaltabili, illustrandone i motivi.