U. De Giovannangeli
Scaricare tutte le responsabilità su un uomo. Pensando che così facendo ci si monderà delle proprie responsabilità. Che Benjamin Netanyahu porti su di sé gravissime colpe per la più sanguinosa debacle subita nella sua storia da Israele, il 7 ottobre, è cosa nota. Che stia facendo di tutto, e di peggio, con un cinismo senza limiti, per scaricare le responsabilità addosso ad altri, è cosa altrettanto documentata. Ma se tutto ciò viene assolutizzato, se il Male acquista le sembianze di un solo Uomo, sia pure il più potente del paese, allora si compie, consapevoli o no, una opera di rimozione collettiva ipocrita, inaccettabile, autoassolutoria. Che maschera un non detto che chiama in causa una intera classe dirigente, presente e passata.
Gideon Levy, coscienza critica d’Israele, su Haaretz, la declina così: “E se Benjamin Netanyahu non fosse stato primo ministro per 16 anni, questa terribile guerra non sarebbe scoppiata?
La guerra sarebbe stata diversa? Possiamo essere sicuri che la sorpresa e la debacle del 7 ottobre non sarebbero avvenute? Gli ostaggi non sarebbero stati presi? Israele non avrebbe compiuto un omicidio di massa così raccapricciante? Queste non sono domande ipotetiche, della serie “e se”, né hanno lo scopo di ridurre di una virgola l’enormità delle responsabilità di Netanyahu e la gravità delle sue colpe per ciò che è accaduto. Netanyahu deve andarsene, ieri, oggi, domani, come l’intero folle governo di nullità che ha formato, che ci ha portato sull’orlo dell’abisso.
Rabin, Peres, Barak, Olmert, Sharon: nessuno di loro aveva alcuna intenzione di dare ai palestinesi la giustizia minima che meritano, senza la quale non c’è soluzione. Tutti i primi ministri si sono schierati per la continuazione dell’occupazione e dell’assedio di Gaza.
Ma ci sono leader in Israele che agirebbero in un modo fondamentalmente diverso nei confronti di Gaza e dei palestinesi? Assolutamente no.
Accollare la piena colpa di tutti i guai e i mali di Israele a Netanyahu sembra voler dire, o lasciar intendere, che se non fosse stato per lui, tutto sarebbe stato diverso. Questo è ciò in cui le persone del “chiunque tranne Bibi” stanno indulgendo dal primo giorno. Se non fosse stato per Netanyahu, Gaza non sarebbe stata una prigione, gli insediamenti non avrebbero ‘squassato’ Israele e l’Idf sarebbe stata un esercito morale.
Non è vero, ovviamente. Ci sono abbastanza cose per le quali, se non fosse per Netanyahu, Israele sarebbe stato un posto migliore, ma sollevare la maledizione dell’occupazione e dell’assedio non è una di queste.
Ci sono politici decenti in Israele, pieni di buone intenzioni, che sono più moderati di lui, ma da qui a ritenere che sarebbe stato più bello essere occupanti sotto di loro! Israele sarebbe rimasto lo stesso stato di apartheid, solo più accorto, meno esibito. Netanyahu ha corrotto il sistema politico e lo ha infettato, ha distrutto il sistema giudiziario e quello delle forze dell’ordine, e quanto poi alla sua condotta personale, è meglio lasciar perdere…Ma quando si tratta di andare al nodo della questione, il nodo da cui Israele sta fuggendo come dal fuoco, il nodo che Netanyahu aveva pianificato di rimuovere dall’agenda, lui ha agito, nella sostanza, come hanno fatto i suoi predecessori e come faranno i suoi successori.
A parte gli encomiabili sforzi di ex primi ministri come Yitzhak Rabin, Shimon Peres, Ehud Barak, Ehud Olmert e Ariel Sharon per trovare una soluzione, anche se solo parziale, nessuno di loro aveva alcuna intenzione di dare ai palestinesi la giustizia minima che meritano, senza la quale non c’è soluzione.
Tutti i primi ministri si sono schierati per la continuazione dell’occupazione e dell’assedio di Gaza. Nessuno di loro ha pensato per un momento di permettere la nascita di un vero stato palestinese, con pieni poteri, uno stato come qualsiasi altro al mondo. Non gli è venuto in mente di liberare la Striscia di Gaza dall’assedio strangolatore. Se non fosse stato per tutti loro, per le scelte fatte e per quelle scartate, forse non ci sarebbe stata Hamas. L’assedio di Gaza non è stato posto da Netanyahu; il ‘governo del cambiamento’, quando era in carica, non ha pensato di revocarlo. Neanche per un momento. I soldi dal Qatar sarebbero potuti fluire a Hamas in modo più accorto, condizionato, sotto Naftali Bennett, ma la politica sarebbe stata fondamentalmente la stessa. Nessuno ha pensato di aprire Gaza al mondo anche in modo controllato, l’unica politica non provata, e l’unica che avrebbe potuto, forse, avanzare una soluzione.
È anche difficile valutare se l’Idf sotto un altro primo ministro sarebbe stato un esercito diverso. Il fiasco sarebbe stato evitato? Non è certo. Le operazioni di occupazione che sono diventate la maggior parte dell’attività dell’Idf non sono state inventate da Netanyahu. Qualsiasi altro primo ministro avrebbe anche dirottato forze e risorse folli per favorire i coloni e i loro propositi. È così che era sotto tutti i governi israeliani.
I candidati alla successione si stanno riscaldando sulla linea di partenza. Ognuno di loro sarà un primo ministro migliore di Netanyahu. Sicuramente più onesto e decente di lui. Ma qualcuno di loro altererà la ripida traiettoria discendente di Israele?
Yair Lapid ha prima annunciato di essere favorevole a portare l’Autorità palestinese a Gaza, salvo poi cambiare immediatamente idea, dicendosi contrario. Lapid non ha alcuna opinione.
Benny Gantz e Gadi Eisenkot stanno prendendo parte alla conduzione della guerra, con tutti i suoi crimini, che finiranno per essere edulcorati. Nessuno dei due ha proposto un nuovo modo di conduzione, uno che non abbiamo mai provato prima. È solo forza e più forza. Netanyahu deve andarsene, non c’è più dubbio. Ma Israele continuerà il suo corso”.
Si dirà: Gideon Levy è un radicale, antigovernativo per pregiudizio ideologico.
Di certo non lo si può dire di Ehud Olmert, ex primo ministro Likud, lo stesso partito di Netanyahu. Olmert è un moderato, una persona perbene. Che su Haaretz conclude così un suo lungo articolo: “Lo Stato di Israele ora affronta la scelta tra un cessate il fuoco come parte di un accordo che potrebbe portare a casa gli ostaggi, nella speranza che la maggior parte di loro sia viva, e un cessate il fuoco senza accordo, senza ostaggi, senza risultati apparenti, con una perdita totale di ciò che resta del sostegno pubblico internazionale per il diritto dello Stato di Israele di esistere senza minacce terroristiche da parte delle organizzazioni sanguinarie Questi sono gli unici due percorsi che ci stanno davanti. Continuare i combattimenti ci porterà importanti risultati locali. Più combattenti di Hamas saranno uccisi, più tunnel saranno distrutti, più leader dell’organizzazione omicida saranno eliminati. Ma non vi sarà la fine di Hamas. Ci possono essere, Dio non voglia, più ostaggi morti. Se Israele termina i combattimenti – dopo l’alto tributo di sangue pagato, nonostante il coraggio e il sacrificio dei nostri comandanti, soldati e leadership militare – con una lunga lista di ostaggi morti, non saremo in grado di perdonare noi stessi come popolo e come società. Se è lì che finiamo, estromettere il mascalzone [Netanyahu] dal ‘trono’ di primo ministro non sarà una compensazione sufficiente per il nostro fallimento morale come paese. È il momento di decidere. Un cessate il fuoco con gli ostaggi viventi, o una cessazione forzata delle ostilità con quelli morti.”
Fonte: L’Unità