Non è il momento di toccare il reddito di cittadinanza, ma di riformularlo


 

di Redazione

Lavoro, lavoro, lavoro.

Il nuovo Governo dovrà lavorare su due fronti: da una parte far sì che le imprese incrementino i posti di lavoro e dall’altra parte modificare le regole del reddito di cittadinanza.

Tra gli obiettivi che si è dato il Governo Meloni ci sarà il tema della riduzione del cuneo fiscale e contributivo. Sgravio del 2% per i lavoratori con redditi inferiori ai 35mila euro annui (come già previsto per l’anno corrente dal Decreto Aiuti-bis); ma, soprattutto, attraverso un taglio strutturale alla tassazione sul reddito dei lavoratori.

È urgente, quindi, la riforma del mercato del lavoro, che ha come centro la riduzione del costo del lavoro e la contestuale crescita del tasso di occupazione, incentivando sia i datori all’assunzione, sia i lavoratori a ricercare un’occupazione.

In questo contesto, è necessario, quindi, rivedere la politica assistenziale riservandola ai soli soggetti che non possono svolgere attività lavorative; mentre, per tutti coloro che non riescono a trovare occupazione, ma abili al lavoro, andrà riformulato l’istituto, trasformandolo in una efficiente politica attiva del lavoro.

Una nuova riformulazione del Reddito di cittadinanza, quindi, permetterebbe di sbloccare maggiori risorse e, al contempo, di formare i lavoratori per tutte quelle attività in cui v’è carenza di manodopera.

Il Governo, nel frattempo, dovrà tener conto delle direttive della Commissione Ue per combattere povertà ed esclusione sociale e sostenere l’occupazione.

La Commissione Ue stima che un intervento di tale natura condurrà, entro il 2030, a una diminuzione della disoccupazione e a una riduzione di 15 milioni dei soggetti a rischio povertà.

Come riportato in questi giorni da ‘Il Sole 24 ore’, gli scarsi risultati sul fronte dell’inserimento lavorativo sono testimoniati dai numeri: su un totale di 503mila usciti dalla percezione del reddito di cittadinanza nei primi sei mesi del 2022, quelli che hanno una nuova occupazione sono 114.864, che diventano 202mila considerando anche gli altri componenti del nucleo con un nuovo impiego.

Meno di un quinto dei percettori del reddito di cittadinanza “occupabili” ha un posto di lavoro: il 18,8%. A sottoscrivere il patto per il lavoro presso il centro per l’impiego, il primo passaggio di politica attiva, si sono presentati meno della metà (42,5%) di quanti erano tenuti a farlo. Sono i numeri che emergono dal monitoraggio di Anpal, che non riguarda l’intera platea di beneficiari del Rdc che al 30 giugno era di un milione di nuclei familiari con 2,3 milioni di persone, tra i quali la gran parte è destinataria solo del sostegno al reddito, ma si focalizza sui 920mila percettori considerati in grado di lavorare.

Tra i 920mila beneficiari del Reddito di Cittadinanza indirizzati ai servizi per il lavoro, in 660mila (71,8%) sono stati ritenuti “occupabili” e dunque soggetti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro. La differenza tra i due numeri dipende dal fatto che una volta convocati nei centri per l’impiego, dal primo colloquio una quota di percettori del Rdc è stata esonerata dagli obblighi di condizionalità (7,3%), un’altra rinviata ai servizi sociali (2,1%).

Il 57,5% non si è presentato al centro per l’impiego per firmare il Patto

Ma tra i 660mila la quota di utenti presi in carico, ovvero che hanno sottoscritto il Patto (o sono comunque impegnati in esperienze di tirocinio extracurricolare) è pari a poco più di 280 mila (+42,5%), con un’incidenza minore nelle regioni meridionali. Vale a dire che in 380mila (57,5%) non si sono presentati all’appello nel centro per l’impiego per collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze e rispettare gli impegni previsti (accettare almeno una di due offerte di lavoro congrue).

Non vi è alcuna evidenza che per i 173mila che lavorano (18,8%), l’occupazione sia stata trovata grazie ai servizi offerti dal centro per l’impiego, o per altri canali (relazioni parentali, amicizie).