Ebreo americano di origine russa, Chomsky nacque a Filadelfia il 7 dicembre 1928. Il padre William scappò dalla Russia nel 1913 per evitare di venire arruolato nell’esercito zarista. Fu proprio William Chomsky, studioso di ebraismo e linguaggio ebraico, ad influenzare il figlio nei suoi studi. Ma più influente, nello sviluppo di Noam come pensatore e come attivista, fu forse la madre, Elsie Simonofsky. La sensibilità politica della madre lo motivò, fin dalla giovane età, ad interessarsi a quell’area che comprende la società e la politica. E l’intera famiglia Chomsky fu inoltre sempre attivamente coinvolta nell’attività culturale ebrea. Noam e il fratello David furono quindi profondamente marcati da una eccezionale vita familiare. Nel 1945 Noam cominciò a studiare all’Università di Pennsylvania (filosofia, matematica). Sebbene entusiasta del suo percorso di studi, si scoraggiò presto, perché scoprì che le strutture istituzionali che egli aveva così detestato alle scuole superiori erano largamente replicate all’università. Costernato dalla sua esperienza di studente, egli rifletté sulla possibilità di lasciare il college per recarsi in Palestina, forse in un Kibbutz, per contribuire allo sviluppo di una comunità arabo-israelitica all’interno di una struttura socialista. Chomsky era contrario all’idea uno stato ebraico in Palestina. Una creazione di questo tipo avrebbe comportato la necessità di dividere il territorio e marginalizzare, sulla base della religione, una significante porzione della sua popolazione oppressa e povera; egli era più propenso ad unire le popolazioni sulla base dei principi socialisti. Tra i vari movimenti sociali presenti in Palestina, uno che lo interessò molto fu il movimento di lavoro cooperativo. L’approccio che i suoi aderenti presero per organizzare la società, che impiegava numerosi Kibbutzim, recava importanti similitudini col modello catalano come descritto da G. Orwell in “Omaggio alla Catalogna”. Così, le prime tendenze di Chomsky erano in linea con gli impulsi cooperativi e libertari piuttosto che con le visioni staliniste o trotskyste, che erano comunque molto popolari tra i gruppi della gioventù sionista. Chomsky però, nel 1947, incontrò Zellig Harris, un carismatico professore che condivideva molti dei suoi interessi e che avrebbe avuto una profonda influenza sulla sua vita. A causa di quest’incontro Chomsky rinunciò a partire per la Palestina e prolungò i suoi studi all’università. Sempre nel 1947 incontrò Carol Doris Schatz, sua futura moglie. Si specializzò in linguistica. Si laureò nel 1955 ed iniziò ad insegnare al MIT, il Massachussets Institute of Tecnology, la fabbrica dei Nobel scientifici degli States. Dal 1966 è titolare, presso il MIT, della cattedra di lingue moderne e linguistica. Chomsky è il fondatore e il caposcuola del generativismo, un’interpretazione della linguistica che intende spiegare le leggi che governano il prodursi del linguaggio e che si oppone alla linguistica strutturalista funzionalista. L’obiettivo di questa teoria è sviluppare una grammatica in grado di generare frasi, come il parlante di un linguaggio è in grado di produrre un numero virtualmente infinito di frasi usando il numero finito di parole e il numero finito di regole grammaticali di sua conoscenza. In questo contesto emergono quelle istituzioni e quegli individui che hanno in vario modo formato il pensiero di Chomsky e il suo approccio alla produzione linguistica e sociale. In primo luogo, la maggior parte della filosofia di base e le tendenze che hanno informato il lavoro di Chomsky furono poste nel 1961, quando egli era appena trentatreenne. Secondo, fu in questo frangente che Chomsky raggiunse la statura di intellettuale affermato e divenne un professore di ruolo al MIT. Produzioni relative al ruolo dell’accademia, e le relazioni tra l’accademia e il contesto sociale, cominciarono ora ad avere una più grande importanza per lui. Terzo, in questo periodo Chomsky entrò nel pubblico dibattito concernente la politica estera degli Stati Uniti, e facendo questo assunse il ruolo di osservatore e denunciatore dei casi di corruzione. Chomsky era a questo punto preparato per mettere la sua conoscenza nel campo dell’avanzamento sociale. Chomsky ha, nel corso degli anni, inseguito il suo primo interesse: il ruolo dell’accademia e la funzione dell’università nella società contemporanea. È stato veloce a notare il grado di collusione fra intellettuali e politiche dello stato, anche quando queste politiche sono chiaramente oppressive, violente o illegali. Egli assicura che c’è un deliberato tentativo da parte degli intellettuali e dei rappresentanti del governo (e dei giornalisti, sebbene in modi differenti) di mascherare i fatti semplici con un linguaggio ottuso, in modo da tenere la “folla” fuori gioco. Questo deliberato oscurantismo dei fatti è, nella sua visione, tipica del periodo cosiddetto post-moderno, e sintomatico di un problema molto più grande che concerne il controllo sociale. Parallelamente al suo prioritario approccio alle istituzioni scolastiche, c’è un rifiuto in Chomsky (virtualmente per le stesse ragioni) del socialismo autoritario, dei governanti illuminati, e di altri organi che tentano di dettare alla gente ciò che essa dovrebbe considerare come il proprio interesse. Dall’inizio degli anni ‘60 Chomsky è impegnato in un numero imprecisato di dibattiti roventi, affrontando gruppi pro-Israele, gruppi anti-comunisti, gruppi pro-guerra fredda, suscitando violente reazioni. Come conseguenza egli ha dovuto prendere delle precauzioni, inclusa la protezione della polizia in borghese. In prima fila nelle lotte della sinistra radicale americana, è da sempre impegnato nell’analisi e nella contestazione del colonialismo americano (culturale e non solo) e nella critica del sistema mediatico e del suo impatto sulla società.
IL PENSIERO
Il grande obiettivo filosofico che Noam Chomski si pone, a partire dall’opera Le strutture della sintassi (1957), è quello di impiegare gli strumenti della logica per costruire una teoria generale della struttura linguistica, concepita non già come mero repertorio di dati fissi (come avviene nella linguistica strutturalista), bensì come dispositivo o insieme di regole che presiedono alla produzione e ripetizione indefinita di frasi all’interno di una lingua. Infatti un bambino non si limita a riprodurre frasi che ha già ascoltato in precedenza, ma arriva a decidere autonomamente della correttezza grammaticale anche di frasi che non ha mai sentito, ovvero a capirle, ed è in grado di costruire nuove frasi. La teoria del meccanismo stimolo/risposta – di cui si avvale il comportamentismo – può spiegare solamente la capacità di riprodurre frasi già sentite, non però quella di produrre frasi nuove. Questa capacità – da Chomski detta “competenza” – si specifica in una lingua particolare, ma è universale e si fonda su una grammatica universale che esclude come umanamente impossibili certe grammatiche, proprio come in ambito fonologico sono escluse (poiché impossibili) determinate combinazioni di suoni. La competenza è data, più che dalla performance (cioè l’esecuzione) ossia dalla produzione di frasi nella propria lingua, dall’avere a disposizione certi princìpi, ossia un insieme di strutture e processi mentali che rendono possibile tale produzione. Un bambino non è capace di dire quali siano tali princìpi, ossia le regole del linguaggio che egli ha imparato ad usare: secondo Chomski, ciò vuol dire che la competenza linguistica si fonda sul possesso di una conoscenza implicita innata delle regole della grammatica universale, in base alle quali si è in grado di distinguere tra ciò che è grammaticalmente corretto e ciò che non lo è. In Linguistica cartesiana (1966), Chomski ravvisa un’antecedente di questa tesi nell’innatismo di Cartesio, ma rigetta radicalmente il dualismo su cui poggiava enigmaticamente la filosofia cartesiana, poiché Chomski è convinto che le idee innate consistano in una specie di programmazione del cervello a usare certe regole in modo da generare enunciati. Allora la teoria del linguaggio si assume il compito di portare alla luce la grammatica generativa, ovvero l’insieme dei princìpi e dei procedimenti coi quali, nelle svariate lingue, si costruiscono indefinitivamente le frasi. E a partire dallo scritto sugli Aspetti della teoria della sintassi (1965), Chomski distingue tra una struttura superficiale della lingua, la quale risiede nella rappresentazione del segnale fisico che noi diciamo o udiamo (ad esempio, “vieni”), e una struttura profonda, la quale produce la prima attraverso una serie di trasformazioni (combinazioni, cancellazioni, informazioni fonologiche che determinano la pronuncia, ecc). La struttura profonda può contenere elementi assenti in quella superficiale: ad esempio, in essa l’espressione “vieni” contiene anche l’elemento “tu”, che può essere assente da quella superficiale. In Riflessioni sul linguaggio (1976), Chomski ha tuttavia abbandonato questa terminologia, giacché essa può generare l’equivoco che “profondo” equivalga a qualcosa di metafisico, inaccessibile all’indagine, e “superficiale” a qualcosa di poco conto, irrilevante. In realtà, il caso della fonologia (riguardante una struttura di superficie, in quanto studia le combinazioni dei suoni) mette in luce come una tale struttura, sebbene sia “superficiale”, abbia un carattere di universalità, né più né meno della sintassi, la quale studia le regole di produzione delle frasi.
BRANI ANTOLOGICI
Il linguaggio è generato dalla grammatica
Dopo aver affermato che la funzione della memoria non è cosí determinante come si crede, Chomsky mette in evidenza l’importanza fondamentale della “competenza linguistica”, che si acquisisce dalla nascita. Essa consiste in “un insieme di regole che possiamo chiamare la grande matematica del linguaggio”. Comprendere frasi mai prima udite è possibile perché la grammatica possiede una componente sintattica, una morfologica e anche una semantica.
“Sulla base di un’esperienza limitata ai dati del discorso, ogni uomo normale ha sviluppato per se stesso una perfetta competenza nel suo linguaggio nativo. Questa competenza può essere rappresentata, in misura fino ad ora indeterminata, come un sistema di regole che possiamo chiamare la grammatica del suo linguaggio. Ad ogni espressione foneticamente possibile, la grammatica assegna una certa descrizione strutturale che specifica gli elementi linguistici di cui è costituita e le loro relazioni strutturali (oppure, in caso di ambiguità, piú descrizioni strutturali simili). Per alcune espressioni, la descrizione strutturale indicherà, in particolare, che sono frasi perfettamente costruite. Questa descrizione possiamo chiamarla il linguaggio generato dalla grammatica. Ad altre, la grammatica assegnerà descrizioni strutturali che indichino la maniera della loro deviazione dalla costruzione perfetta. Dove la deviazione è sufficientemente limitata, spesso può essere imposta un’interpretazione in virtú di relazioni formali con frasi del linguaggio generato. La grammatica, allora, è un mezzo che (in particolare) specifica l’infinita disposizione di frasi ben costruite e assegna a ciascuna di queste una o piú descrizioni strutturali. Forse dovremmo chiamare un tale mezzo grammatica generativa per distinguerla da esposizioni descrittive che presentano soltanto l’inventario degli elementi che appaiono nelle descrizioni strutturali, e le loro varianti contestuali. […] La grammatica generativa di un linguaggio dovrebbe, idealmente, contenere una componente sintattica centrale e due componenti interpretative, una componente fonologica e una componente semantica. La componente sintattica genera sequenze di minimi elementi funzionanti sintatticamente (seguendo Bolinger li chiameremo elementi formativi) e specifica le categorie, le funzioni e le interrelazioni strutturali degli elementi formativi e dei sistemi di elementi formativi. La componente fonologica converte in una rappresentazione fonetica una sequenza di elementi formativi di una specifica struttura sintattica. La componente semantica, corrispondentemente, assegna un’interpretazione semantica ad una struttura astratta generata dalla componente sintattica. Cosí ciascuna delle due componenti interpretative conduce una struttura generata sintatticamente ad un’interpretazione “concreta”, nel primo caso fonetica, nel secondo semantica […]. La grammatica nella sua totalità può cosí essere considerata, in conclusione, come un mezzo per accoppiare segnali rappresentati foneticamente con interpretazioni semantiche, attraverso la mediazione di un sistema di strutture astratte generate dalla componente sintattica. Cosí la componente sintattica deve procurare ad ogni frase (di fatto, a ogni interpretazione di ogni frase) una struttura profonda interpretabile semanticamente e una struttura superficiale interpretabile foneticamente, e, nel caso che queste siano distinte, l’affermazione della relazione tra queste due strutture”. [Current Issues in Linguistic Theory]
Struttura profonda e struttura superficiale del linguaggio
Noam Chomski è stato il fondatore e caposcuola della teoria generativista. In questa lettura egli osserva che una frase può essere interpretata per come essa è strutturata grammaticamente (componente sintattica) o per come essa esprime un pensiero (componente semantica). La prima è la struttura superficiale, la seconda è invece la struttura profonda.
“Il linguaggio ha un aspetto interno e uno esterno. Una frase può essere studiata dal punto di vista di come esprime un pensiero o dal punto di vista della sua forma fisica, cioè dal punto di vista della interpretazione semantica o di quella fonetica. Usando una terminologia recente, possiamo distinguere la “struttura profonda” di una frase dalla sua “struttura superficiale”. La prima è la struttura astratta sottostante che determina l’interpretazione semantica della frase; la seconda è l’organizzazione superficiale di unità che determina l’interpretazione fonetica e che è in relazione con la forma fisica dell’enunciato effettivo, cioè con la sua forma percepita o capita. […] La struttura profonda, che esprime il significato, è comune a tutte le lingue, cosí almeno si sostiene, in quanto è un semplice riflesso delle forme di pensiero. Le regole trasformative, che convertono le strutture profonde in strutture superficiali, possono differire da una lingua all’altra. Naturalmente, la struttura superficiale risultante da queste trasformazioni non esprime direttamente le relazioni di significato delle parole, tranne nei casi piú semplici. È la struttura profonda sottostante all’enunciato effettivo – una struttura puramente mentale – che è portatrice del contenuto semantico della frase”. [Current Issues in Linguistic Theory]
Sulla logica di Port-Royal
Coloro che verso la metà del ‘600 si rifugiarono a Port-Royal insieme a Pascal, in particolare Arnauld e Nicole, pubblicarono un trattato di logica e uno di grammatica. A quest’ultimo, che valuta molto positivamente, Chomsky afferma di ispirarsi.
“Intendo parlare di una determinata corrente di pensiero del diciassettesimo e diciottesimo secolo e delle conseguenti grammatiche “universali” o “filosofiche”: esse derivano da una certa filosofia dello spirito, di origine essenzialmente cartesiana. Esattamente come per le ricerche contemporanee sulla grammatica generativa, la grammatica universale dei filosofi di Port-Royal sorse soprattutto da una reazione contro l’atteggiamento strettamente “descrittivo”, secondo il quale la descrizione linguistica avrebbe come unico oggetto i dati del linguaggio attualizzato. In tal caso la linguistica si limiterebbe a fornire una ordinata presentazione di tale oggetto. Al contrario, la celebre Grammaire générale et raisonnée di Port-Royal rappresenta essenzialmente un tentativo di convertire lo studio del linguaggio in una specie di “filosofia naturale”, in contrasto con coloro che, come Vaugelas, non vi vedevano altro che una specie di storia naturale. La grammatica di Port-Royal si preoccupa quindi non solo di registrare e di descrivere l’uso, ma anche di spiegarlo. Per spiegare i fenomeni linguistici è necessario stabilire i principi generali da cui essi derivano. La grammatica, dunque, dev’essere “generale” e “ragionata” a un tempo. Tali principi generali costituiscono di fatto una ipotesi, empiricamente verificabile, sulla classe dei linguaggi umani possibili. La verifica dell’ipotesi può esser fatta in due modi: da un lato, dimostrando che essa è compatibile con la diversità delle lingue umane; dall’altro, dimostrando che essa è abbastanza efficace da render conto dei fenomeni particolari. Tale ricerca di una grammatica universale fu condotta con la preoccupazione di apportare una prova dimostrativa dell’uno e dell’altro punto ma, beninteso, nei limiti delle conoscenze disponibili a quell’epoca e delle tecniche allora praticate. Nel corso di tali studi, i grammatici del tempo misero in evidenza un certo numero di proposte precise, relative alla struttura del linguaggio e all’uso che ne vien fatto. Si ritiene generalmente che queste proposte siano state confutate, o che il successivo sviluppo della linguistica abbia messo in luce la loro mancanza di portata pratica. Ch’io sappia, ciò non è affatto vero. O meglio, esse sono semplicemente cadute in dimenticanza, in quanto l’attenzione dei linguisti si è rivolta ad altri oggetti e in quanto, in modo particolare nella generazione che ci ha immediatamente preceduti, il campo della linguistica generale si è ridotto al punto di escludere i problemi che interessavano i promotori della grammatica universale, perlomeno in linea di principio. La grammatica di Port-Royal stabilisce una distinzione tra ciò che volentieri chiameremmo la “struttura superficiale” di una frase e la sua “struttura profonda”. La prima concerne la organizzazione della frase in quanto fenomeno fisico. La seconda interessa il sostrato strutturale astratto che ne determina il contenuto semantico, e che è presente allo spirito allorché la frase viene emessa o percepita. In tal modo, la struttura superficiale della frase tipo Dio invisibile ha creato il mondo visibile ci indica che abbiamo a che fare con una forma del tipo soggetto-predicato, con un soggetto complesso e un predicato anch’esso formato da piú termini. La sua struttura profonda rivela invece un sistema di tre giudizi, e precisamente: che Dio ha creato il mondo (proposizione principale), che Dio è invisibile e che il mondo è visibile (proposizioni incidentali alla proposizione principale). La struttura intima, il sostrato, che racchiude il contenuto semantico, è dunque un sistema di tre proposizioni, sistema che è presente alla mente quando la frase reale viene emessa e compresa. Ognuna delle tre proposizioni elementari che compongono il sostrato è, come la struttura superficiale della frase completa, del tipo soggetto-predicato. Una struttura profonda che comporti un certo numero di proposizioni elementari, organizzate secondo determinati rapporti in vista di un determinato senso, è convertibile in una struttura superficiale mediante una serie di operazioni formali che possiamo chiamare “trasformazioni grammaticali”. Nel caso particolare esemplificato sopra, queste trasformazioni comprenderebbero una operazione di relativizzazione (la quale, applicata separatamente alla struttura profonda in questione, dà: Dio che è invisibile ha creato il mondo che è visibile) e una seconda operazione, facoltativa, per eliminare “che è” e (in alcuni casi) procedere all’inversione del nome e dell’aggettivo. In maniera analoga, si dimostrerà come una frase quale scio malum esse fugiendum abbia per base un sostrato che contiene la proposizione incidentale malum est fugiendum; le costruzioni infinitive hanno con il verbo la stessa relazione che le proposizioni relative hanno con il nome”. [Alcune costanti della linguistica]
Fonte: filosofico.net