La Libia vuole processare i pescatori italiani: la risposta che non c’è e la debolezza dello stato


Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)


Assume contorni sempre più foschi l’intrigo internazionale che vede, loro malgrado, protagonisti 18 pescatori italiani, sequestrati dalle milizie del generale Haftar, a 35 miglia dalla costa libica, la notte tra  il 31 agosto ed il 1 settembre.

Stando alle ultime notizie, infatti, il presidente della commissione Affari esteri di Tobruk ha comunicato le ragioni del fermo dei nostri connazionali (“attività di pesca nelle acque territoriali libiche”) e la volontà di processarli in Cirenaica: “Presto gli equipaggi dei due pescherecci italiani compariranno davanti a un tribunale che dovrà pronunciarsi sul reato da loro commesso”. Una durissima presa di posizione da parte delle autorità locali che, oltre a gettare ancor di più nell’angoscia i pescatori ed i loro familiari, restituisce l’idea di un vero e proprio colpo di mano, soprattutto alla luce delle oscure dinamiche che hanno determinato il sequestro. Un annuncio che, inoltre, suona come una ripicca perché arriva dopo che l’Italia ha rispedito al mittente la richiesta di “scambio dei prigionieri” avanzata dai libici. Il governo di Tobruk, nei giorni scorsi, aveva chiesto la liberazione di quelli che definiva “4 calciatori” detenuti nelle nostre carceri, per far rientrare in patria i pescatori. Si trattava, in realtà, di soggetti condannati a 30 anni di reclusione per traffico di esseri umani e per l’omicidio di 49 immigrati.

Al di là delle eventuali responsabilità, però, ciò che urge davvero in questo momento è un intervento serio, risoluto e deciso da parte del nostro governo, con il Ministero degli Esteri in testa. D’altra parte il ricordo dell’annosa questione dei Marò prigionieri in India, risoltasi dopo quasi dieci anni, è ancora vivo ed impone di agire in fretta. Dalla Farnesina, però, Luigi Di Maio fa sapere che, praticamente, le trattive in suolo libico sono svolte per interposta persona da altre due nazioni: “Presto convocheremo un vertice di governo su questo caso. In questi giorni ho sentito il ministro degli Emirati e il ministro russo, che hanno capacità di influenza su quella parte libica. Stiamo lavorando con un basso profilo per ottenere risultati”.

Ciò che emerge da queste parole è, innanzitutto, l’inesistenza dell’Italia, quale soggetto geopolitico e diplomatico, in un’area strategica come quella libica. Il nostro paese, ormai è impossibile negarlo, ha perso definitivamente la capacità di negoziazione, non riesce più a porsi quale interlocutore degno di ascolto e di rispetto. La menzione del “basso profilo”, infine, sembra quasi un invito a mantenere un tacito silenzio sulla vicenda, a placare l’indignazione e il rumore mediatico, onde evitare che la situazione possa precipitare. Un’altra ammissione che lascia di stucco e che ci “sbatte in faccia” una triste ed inquietante realtà.