AGI – La capacità di estrarre dna antico dei resti delle vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è già una realtà da almeno un decennio, e molte sono le ricerche nate da questa possibilità, che hanno consentito di ricostruire rapporti di parentela tra i corpi trovati nelle domus sepolte da ceneri, lapilli e lava ma anche malattie antiche e la loro evoluzione in epoca moderna.
Ma ora altri traguardi nello studio del corpo umano e della sua evoluzione sono resi possibili dalla scoperta di neuroni nel cervello vetrificato di un’altra vittima di quella catastrofe, individuato a gennaio di questo anno.
Una ricerca tutta italiana
La ricerca multidisciplinare che ha reso possibile questa scoperta può essere utile anche per la valutazione del rischio vulcanico. Lo studio condotto in collaborazione con il Parco Archeologico di Ercolano dai ricercatori dell’ateneo di Napoli Federico II, del Ceinge-Biotecnologie Avanzate, dell’università di Roma Tre e della Statale di Milano con il Cnr è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista americana Plos One.
Un risultato tutto italiano, frutto del lavoro dell’antropologo forense Pier Paolo Petrone, responsabile del Laboratorio di Osteobiologia Umana e Antropologia Forense presso la sezione dipartimentale di Medicina Legale della Federico II, in collaborazione con geologi, archeologi, biologi, medici legali, neurogenetisti e matematici degli altri atenei e centri di ricerca.
Il custode che dormiva mentre Ercolano spariva
Il cervello in questione, o meglio i minuscoli brandelli di questo, vetrificati dallo choc termico, erano forse quelli del custode del Collegio degli Augustali, che forse dormiva quando l’onda di calore, una nube densa, discesa a velocità elevatissima dal vulcano, avvolse il suo corpo nel letto in cui dormiva in un edificio già vuoto. L’individuazione dei resti durante scavi nell’antica città costiera del Napoletano, sepolta insieme a Pompei e altre per un raggio di due chilometri dal vulcano nell’eruzione pliniana datata di recente a ottobre del 79 dopo Cristo.
“Il rinvenimento di tessuto cerebrale in resti umani antichi è un evento insolito – spiega Petrone, coordinatore del team – ma ciò che è estremamente raro è la preservazione integrale di strutture neuronali di un sistema nervoso centrale di duemila anni fa, nel nostro caso a una risoluzione senza precedenti”. Le condizioni del seppellimento a Ercolano hanno permesso una buona conservazione di resti umani.
“Alla scoperta hanno contribuito tecniche più avanzate e innovative di microscopia elettronica del Dipartimento di Scienze dell’Università di Roma Tre – spiega Guido Giordano, ordinario di Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze dell’ateneo romano – le strutture neuronali erano perfettamente preservate grazie alla conversione del tessuto umano in vetro, circostanza che dà chiare indicazioni del rapido raffreddamento delle ceneri vulcaniche roventi che investirono Ercolano nelle prime fasi dell’eruzione”.
La vetrificazione dei resti umani
Il processo di vetrificazione indotto dall’eruzione, “unico nel suo genere, ha ‘congelato’ le strutture cellulari del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte fino ad oggi”, aggiunge Petrone. “La fusione delle conoscenze dell’antropologo forense e del medico-legale stanno dando informazioni uniche, altrimenti non ottenibili”, sottolinea Massimo Niola, ordinario e direttore della Uoc di Medicina Legale presso la Federico II.
Lo studio ha anche analizzato i dati di alcune proteine già identificate dai ricercatori in un lavoro pubblicato a gennaio scorso dal New England Journal of Medicine. “Un aspetto di rilievo potrebbe riguardare l’espressione di geni che codificano le proteine isolate dal tessuto cerebrale umano vetrificato”, spiega Giuseppe Castaldo, principal investigator del Ceinge e ordinario di Scienze Tecniche di Medicina di Laboratorio della Federico II. “Tutte le trascrizioni geniche da noi identificate sono presenti nei vari distretti del cervello quali, ad esempio, la corteccia cerebrale, il cervelletto o l’ipotalamo”, aggiunge Maria Pia Miano, neurogenetista presso l’Istituto di Genetica e Biofisica del Cnr di Napoli.
Le indagini non si fermano
Le indagini sui resti delle vittime dell’eruzione non si fermano qui. Il Parco Archeologico di Ercolano ha inserito tra i temi di ricerca prioritari le indagini bioantropologiche e vulcanologiche per l’eccezionale interesse che possono avere non solo nello stretto ambito scientifico ma anche nel campo degli studi storici e del rafforzamento della capacità di gestire catastrofi come l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. “Gli straordinari risultati ottenuti dimostrano l’importanza degli studi multidisciplinari condotti dai ricercatori della Federico II e l’unicità di questo sito straordinario, ancora una volta alla ribalta internazionale con il suo patrimonio inestimabile di tesori e scoperte archeologiche”, rileva Francesco Sirano, direttore del Parco.
L’obiettivo delle ricerche è anche quello di una ricostruzione a ritroso delle varie fasi dell’eruzione, valutando i tempi di esposizione alle alte temperature e del raffreddamento dei flussi, che hanno importanza non solo per l’archeologia e la bioantropologia, ma anche per il rischio vulcanico. Queste ed altre informazioni che verranno dagli studi in corso potranno offrire importanti parametri per la gestione delle emergenze nell’area vesuviana.
Vedi: Neuroni nel cervello vetrificato di una vittima dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Fonte: cultura agi