Marcia indietro di Benjamin Netanyahu: 24 ore dopo aver annunciato il nome di Eli Sharvit come sostituto di Ronen Bar alla guida dello Shin Bet, il premier israeliano ha annullato la decisione. “Dopo un’ulteriore valutazione, intende esaminare altri candidati”, ha fatto sapere il suo ufficio.
A segnare il ‘destino’ di Sharvit, ex comandante della Marina, sarebbe stata la sua partecipazione nel marzo 2023 a una manifestazione a Tel Aviv contro la riforma della giustizia, progetto tanto caro alla maggioranza, ma anche un editoriale su Calcalist in cui criticava duramente il presidente Usa Donald Trump per le sue politiche sul clima. Inoltre, è venuto fuori che nel 2022 aveva sostenuto un accordo sul confine marittimo con il Libano, al quale Netanyahu si era opposto.
La nomina di un presunto ‘manifestante anti-riforma’ al vertice dello Shin Bet è stata duramente attaccata da esponenti del governo. L’opposizione, pur elogiandone le capacità, ha stigmatizzato la scelta di un nuovo capo dell’agenzia di intelligence interna mentre è ancora in vigore la sospensione dell’Alta Corte di giustizia sul licenziamento di Bar da parte dell’esecutivo.
La stessa opposizione è oggi tornata alla carica, attaccando Netanyahu per il brusco dietrofront. “La carica di capo dello Shin Bet non è una nomina qualsiasi. Non è un lavoro che annunci e di cui ti penti dopo 24 ore a causa di qualche urlo. Questo è il più sacro dei santi, è una violazione della sicurezza dello Stato”, ha commentato Yair Lapid. Secondo l’ex ministro della Difesa Benny Gantz, Netanyahu ha nuovamente “dimostrato” che “per lui la pressione politica prevale sul bene dello Stato e sulla sua sicurezza”.
L’8 aprile si terrà l’udienza di fronte all’Alta Corte sul destino di Bar, il cui licenziamento è stato approvato all’unanimità dal governo il 20 marzo e sospeso dai magistrati. I suoi rapporti con Netanyahu, già segnati da tensioni, si sono deteriorati definitivamente nell’ultimo mese, con l’uscita del rapporto interno dello Shin Bet sull’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 nel quale l’agenzia d’intelligence si assumeva le responsabilità del fallimento della sicurezza ma sottolineava anche come la politica portata avanti nei confronti del gruppo militante palestinese – in primis da Netanyahu negli ultimi 15 anni – aveva permesso il “rafforzamento militare” di Hamas, con conseguenze nefaste.
La pietra tombale per Bar, infine, è stato l’avvio di un’indagine sul cosiddetto Qatargate, il caso riguardante presunti legami illeciti di Doha con Jonatan Urich ed Eli Feldstein, rispettivamente collaboratore ed ex portavoce del primo ministro. I due sono sospettati di contatti con un agente straniero, riciclaggio di denaro, corruzione, frode e abuso di fiducia. Dopo il loro arresto ieri, la corte di Rishon LeZion oggi ha deciso che resteranno in custodia fino almeno a giovedì.
Amit Hadad, l’avvocato di Urich, ha chiesto e ottenuto alla corte di revocare l’ordine restrittivo sulla pubblicazione dei particolari dell’indagine. “Questo caso non ha prove, è solo aria fritta creata apposta per i media”, ha affermato il legale, chiedendo la cancellazione dell’ordinanza “per esporre l’assurdità dei sospetti infondati contro di lui e l’ingiustizia che gli è stata fatta”.
Dopo la revoca della ‘censura’, il giudice Menahem Mizrahi ha diffuso un riassunto del caso: una società americana chiamata The Third Circle, di proprietà del lobbista Jay Footlik, ha stretto un rapporto diretto con Feldstein per “promuovere il Qatar in una luce positiva e diffondere messaggi negativi sull’Egitto”, di cui veniva minimizzato il ruolo come mediatore. Doha è il principale finanziatore di Hamas e dopo il 7 ottobre l’emirato è finito nell’occhio del ciclone, insieme alla politica promossa da Netanyahu di ‘comprare’ la calma nella Striscia con i soldi qatarioti fatti arrivare al gruppo militante palestinese.
Per abbellire l’immagine del Qatar “è stato creato un collegamento commerciale ed economico con questa società, attraverso la mediazione del sospettato numero uno (Feldstein), in cambio di pagamenti in denaro che sono stati passati al sospettato numero due (Urich), tramite (l’uomo d’affari israeliano residente nel Golfo) Gil Birger”, ha riferito Mizrahi. Il sospetto è che questi tre personaggi abbiano lavorato per diffondere messaggi ai giornalisti per conto del Qatar, presentandoli come se arrivassero da alti funzionari politici e di sicurezza dell’ufficio del primo ministro.
Gli investigatori hanno aggiunto un’ulteriore accusa a Urich, quella di aver condiviso informazioni riservate, sospettandolo di aver passato informazioni a Footlik. Il lobbista americano è stato convocato per testimoniare e secondo alcune fonti citate da Haaretz, ha accettato di collaborare.
Feldstein è lo stesso che era stato arrestato a novembre e messo ai domiciliari – dove tuttora si trovava con il braccialetto elettronico prima del nuovo arresto – con l’accusa di aver danneggiato la sicurezza nazionale per aver fatto trapelare un documento altamente classificato alla stampa straniera per agevolare la narrativa del governo in merito alla guerra contro Hamas e alle trattative per il rilascio degli ostaggi.
A suscitare preoccupazione c’è anche il potenziale conflitto di interessi dell’avvocato Hadad che rappresenta sia Urich che Netanyahu, chiamato ieri a testimoniare come persona informata e non come sospettato.
Tra i protagonisti della vicenda, c’è pure un giornalista, interrogato ieri, sospettato di aver avuto contatti con un agente straniero dopo aver presumibilmente facilitato la comunicazione tra Feldstein e l’imprenditore israeliano Gil Birger. Quest’ultimo ha ammesso di recente, dopo la messa in onda di registrazioni ‘incriminanti’ da parte dell’emittente pubblica Kan, di aver trasferito fondi da Footlik a Feldstein.
Dopo questa rivelazione, dieci giorni fa, i due collaboratori del premier erano stati tratti in custodia e interrogati dalla polizia: in quell’occasione, Feldstein aveva affermato che alcune persone dell’ufficio del premier si erano offerte di pagarlo per i servizi resi a Netanyahu tramite Footlik, mentre Urich aveva negato ogni coinvolgimento.
Il primo a svelare i legami tra i collaboratori di Netanyahu e il Qatar era stato Haaretz lo scorso novembre. Allora il quotidiano progressista aveva rivelato che Urich e Israel Einhorn, ex consigliere delle campagne del Likud e di ministri del governo e oggi consigliere in Serbia del presidente Aleksandar Vucic, avevano sviluppato una campagna di pubbliche relazioni per migliorare l’immagine del Qatar in vista della Coppa del Mondo del 2022.
L’obiettivo era dipingere Doha come un protagonista dello scenario internazionale dedito alla stabilità e alla pace. La campagna era stata realizzata tramite Perception, una società di consulenza politica di proprietà di Einhorn, in collaborazione con un’altra società israeliana, Koios.
Allo scoppio dello scandalo, Netanyahu aveva tentato subito di minimizzare la situazione, liquidando le indagini come “prive di fondamento”. E anche ieri, dopo aver testimoniato davanti agli investigatori, il premier ha denunciato una “caccia alle streghe politica”, sostenendo che i suoi collaboratori sono stati presi in “ostaggio”. (AGI)