Nel bonus benzina molta retorica e poca efficacia


di Paolo Liberati e Massimo Paradisi

Non sarà il bonus di 80 euro una tantum a risolvere il problema del caro-benzina. Perché così non si affronta la questione della regolamentazione del mercato italiano della distribuzione di carburanti, che andrebbe aperto a una effettiva concorrenza.

Il bonus che non risolve nulla

L’intervento era stato annunciato dal decreto Energia, varato il 25 settembre, nel segno della retorica della “benzina per i poveri” – cioè “poveri” secondo l’Isee, con tutte le sue storture favorevoli agli evasori fiscali e senza che si sappia se i beneficiari utilizzino o no un’auto. Ora è dunque arrivato un bonus carburanti nella misura di 80 euro da erogare attraverso la carta “Dedicata a te” alle famiglie con un Isee fino a 15 mila euro lordi. Lo stanziamento è di 100 milioni, bastanti per un pieno famiglia.

Certo si tratta di un intervento di portata trascurabile rispetto a una nuova sospensione dell’accisa, finanziariamente insostenibile, e anche minima rispetto a un’accisa mobile, che dovrebbe seguire la variazione del prezzo del greggio nell’ultimo bimestre rispetto a quello riportato nel Documento di economia e finanza e che dovrebbe essere finanziata dall’incremento dell’Iva sui carburanti (sempre che si stabilisca un livello e un periodo di riferimento per la misurazione dell’incremento di gettito). Intanto, si dice e si scrive delle cause esterne – dalla pandemia alla guerra, alle scelte strategiche di alcuni paesi fornitori – che hanno determinato l’attuale condizione del mercato petrolifero. Quanto alle cause interne, che condizionano in Italia questo mercato, si ascolta un coro politico alternativamente omologato, a seconda che si sia al governo o all’opposizione, che chiede interventi fiscali di riduzione dell’accisa per tutti o solo per alcuni, senza discutere, e figurarsi agire, sui meccanismi di formazione dei prezzi, la cui regolazione ha difetti da tempo riconosciuti e sottaciuti.

Il mercato petrolifero in Italia

Che sul prezzo dei carburanti l’accisa incida per poco più del 50 per cento è un fatto, come lo è che l’incidenza per litro collochi l’Italia, con 73 centesimi, al secondo posto dopo l’Olanda e a 5 centesimi dalla Francia e 8 dalla Germania. Dunque, un margine di riduzione si potrebbe certo considerare (ricordando che l’accisa in Italia come altrove è unica, e non contano, come spesso si racconta, gli impieghi ai quali quote del gettito furono nel tempo destinate). Magari si potrebbe anche ricorrere a meccanismi strutturali, come sarebbe l’accisa mobile prevista dal decreto Trasparenza dello scorso gennaio, pure richiesta da produttori e distributori.

Bisogna però avere la consapevolezza che ciò non escluderebbe comportamenti strategici nelle decisioni di prezzo, di segno opposto all’intento fiscale, da parte di un mercato italiano della distribuzione anomalo per numerosità, concentrato quasi totalmente in cinque compagnie e verticalmente integrato lungo l’intero processo, dalla raffinazione all’estrazione. Si tratta di un mercato oligopolistico, in cui la collusione è indotta e non vi è alcuna convenienza a competere sui prezzi: per questa ragione, non trascurata dall’Autorità antitrust, l’obbligo della indicazione del prezzo medio regionale dei carburanti ha prodotto effetti perversi, disincentivando ulteriormente anche minime competizioni di prezzo per lo più comunali e per lo più da parte delle pochissime pompe indipendenti (cosiddette ‘bianche’) presenti in Italia.

Della regolamentazione del mercato italiano della distribuzione dei carburanti non si discute politicamente, sebbene sia una necessità urgente e chiara da tempo. Il sistema di fissazione del prezzo dei carburanti prevede che la compagnia comunichi al gestore della stazione di servizio un prezzo suggerito e composto di una quota base, nazionalmente determinata, e una quota supplementare determinata considerando i costi di stoccaggio, distribuzione e trasporto sino alla pompa. Recenti studi hanno rilevato che la concentrazione dei distributori agevola la crescita dei prezzi, con una tendenza all’allineamento a quello fissato da chi domina il mercato, Eni e IP in testa. che controllano la maggioranza delle stazioni di servizio. Il numero totale degli impianti nel nostro paese è il più elevato in Europa: secondo il Data book 2023 dell’Unione energie per la mobilità, ovvero l’Unione petrolifera, sono 21.700, contro gli 11.151 della Francia, i 14.458 della Germania e gli 11.810 della Spagna. Ciò senza alcun cambiamento significativo a distanza di oltre un decennio dalle discussioni sulla riorganizzazione della distribuzione: ancora oggi il numero delle pompe indipendenti non raggiunge le 8 mila, benché sia stata mostrata la loro capacità di esercitare localmente un impatto sulla riduzione dei prezzi dei carburanti.

Non è poi secondario il fatto che nel mercato dei carburanti italiano nessuna reazione ai prezzi può provenire dalle variazioni della domanda da parte dei consumatori, che non trovano nella disponibilità di trasporti pubblici una adeguata alternativa all’utilizzo dell’auto: la rete ferroviaria suburbana è di 740 chilometri, contro i 2.039 della Germania e i 1.443 della Spagna; mentre le linee metropolitane coprono complessivamente 254 chilometri contro i 225 della sola Parigi o 291 della sola Madrid. A ciò si aggiunge l’immobile e larghissimo divario nelle reti ferroviarie tra Nord e Sud del paese, che dovrebbe ridurre al silenzio la gran cassa del Ponte sullo stretto.

Eppure, il dibattito è solo e ossessivamente concentrato sulla riduzione delle accise e dell’Iva sui carburanti. Nessuno si preoccupa di conciliare gli interventi fiscali con la regolamentazione della distribuzione, aprendo il mercato a una effettiva concorrenza. Una volta ancora occorre ricordare che non si può chiedere al sistema tributario di fare più di quello che deve, specialmente di correggere ex post comportamenti di mercato che richiedono regolamentazioni ex ante, senza le quali il sistema tributario riverserà sui contribuenti i costi di comportamenti speculativi che continueranno a perpetuarsi con immutato profitto di pochi, e sempre gli stessi.

Fonte: La Voce