Nel 2020 dieci ministeri hanno pagato in ritardo i debiti con i fornitori


AGI – “In una fase di difficoltà economica senza precedenti tutti si sarebbero aspettati che almeno i ministeri avessero pagato con puntualità le imprese fornitrici. Invece, le cose sono andate diversamente. Nel 2020, infatti, ben 10 ministeri su 12 lo hanno fatto in ritardo rispetto alle disposizioni previste dalla direttiva europea; in moltissimi casi peggiorando lo score registrato nel biennio precedente e confermando un trend che relega la nostra pubblica amministrazione tra le peggiori pagatrici d’Europa”.

Nel 2020, ricorda la CGIA, “la situazione più critica relativa all’Indicatore di tempestività nei pagamenti registrato dai dicasteri italiani riguarda il ministero dell’Interno che ha saldato le fatture ricevute con un ritardo medio di oltre 62 giorni. Seguono il ministero della Difesa con oltre 36, lo Sviluppo Economico con quasi 28 e il ministero delle Infrastrutture con quasi 27.

Gli unici dicasteri che hanno anticipato il saldo fattura rispetto alle scadenze previste dalla legge sono il ministero dell’Istruzione Università e Ricerca (-7,27) e gli Affari Esteri (-20,34)”. In Italia, ricorda ancora l’Ufficio studi della Cgia, “il volume d’affari che ruota attorno alle commesse di tutta la P.a ammonta complessivamente a circa 140 miliardi di euro all’anno e il numero delle imprese fornitrici si aggirano attorno un milione”.

Secondo i dati presentati dall’Eurostat nell’ottobre scorso, spiega l’ufficio studi, negli ultimi 4 anni i debiti commerciali nel nostro Paese di sola parte corrente sono in costante aumento. Secondo le stime redatte a livello europeo, nel 2019 lo stock avrebbe toccato i 47,4 miliardi di euro. “Nonostante le promesse politiche e gli impegni di spesa presi dalle amministrazioni pubbliche – osservano gli artigiani di Mestre – le imprese fornitrici faticano a farsi pagare. Ma la cosa più inammissibile di tutta questa vicenda è che nessuno è in grado di affermare a quanto ammonta ufficialmente il debito commerciale della nostra p.a; ovverosia aggiungere ai debiti di parte corrente anche la quota riferita al conto capitale, sebbene da qualche anno le imprese che lavorano per il pubblico abbiano l’obbligo di emettere la fattura elettronica”.

Tre le principali cause per le quali le pubbliche amministrazioni non rispettano i tempi di pagamento la Cgia cita: la mancanza di liquidità da parte del committente pubblico; i ritardi intenzionali; l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi ragionevolmente brevi i certificati di pagamento; le contestazioni che allungano la liquidazione delle fatture.

A queste cause, secondo l’organizzazione, “ne vanno aggiunte almeno altre due che, tra le altre cose, hanno indotto, nel gennaio del 2020, la Corte di Giustizia europea a condannarci: la richiesta, spesso avanzata dalla P.a nei confronti degli esecutori delle opere, di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o l’invio delle fatture; l’istanza rivolta dall’amministrazione pubblica al fornitore di accettare, durante la stipula del contratto, tempi di pagamento superiori ai limiti previsti per legge senza l’applicazione degli interessi di mora in caso di ritardo”.

Secondo la Cgia, “per risolvere questa annosa questione che sta lasciando senza liquidità tantissime imprese, soprattutto di piccola dimensione, c’e’ solo una cosa da fare: nel caso di mancato pagamento, bisogna prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i debiti della p.a verso le imprese e le passivita’ fiscali e contributive in capo a queste ultime. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo da almeno 15 anni”.