Nato: la sfida baltica, sulla Lituania l’ombra della guerra


(dall’inviato Francesco Russo)

La guerra tra Russia e Ucraina ha reso Baltops 23, la manovra annuale della Nato nel Baltico, molto più che routine. La costa di Klaipeda, in Lituania, è il teatro dell’operazione, iniziata il 4 giugno e destinata a concludersi il 16 giugno. Di gran rilievo la presenza italiana, con la nave San Marco protagonista di una complessa infiltrazione anfibia. Obiettivo simulare una “dimostrazione di forza” ai danni dell’Alleanza Atlantica. A due ore di auto, nell’entroterra del Paese, nella base di Lakunu, vicino Siauliai, è in corso Air Defender.
Dal 12 al 23 giugno 250 aerei militari di 25 Paesi membri e partner dell’Alleanza, tra cui Giappone e Svezia, e 10 mila uomini e donne saranno impegnati nella più importante esercitazione nei cieli della storia della Nato, concepita nel 2018, anche in risposta all’annessione russa della Crimea. Ma non è stata solo l’invasione del febbraio 2022 a ridefinirne il concetto strategico. La protezione di città, aeroporti o porti da attacchi aerei oggi risponde a sfide nuove, come l’utilizzo sempre più avanzato di droni e i missili ipersonici Kinzhal schierati dalla Russia nell’exclave di Kaliningrad, spina nel fianco dell’Alleanza, incuneata tra Lituania e Polonia. Solo alcune decine di chilometri a Est c’è il confine della Bielorussia, dove il Cremlino è prossimo a dislocare testate nucleari tattiche. La striscia di frontiera polacco-lituana che separa Kaliningrad dal territorio di Minsk è il corridoio di Suwalki, uno dei punti più caldi dello scacchiere geopolitico. Una manovra a tenaglia separerebbe in pochissimo tempo i tre Paesi baltici dal resto del territorio dell’Alleanza. I militari rispondono ai cronisti con la consueta formula di rito: la Nato è determinata a difendere “ogni centimetro di territorio”. Ma non tutti i “centimetri” sono uguali, e non ne vengono in mente di altrettanto vulnerabili. Per i cittadini comuni delle tre repubbliche restituite all’indipendenza nel 1991 l’incubo è ricorrente. E il terrore di tornare sotto il vecchio giogo è tangibile. Basta entrare in un bar qualsiasi, ordinare una birra (prima delle 22, qua le norme sull’alcol si sono fatte draconiane), mischiarsi agli avventori e qualificarsi come giornalista. “Se ci riprovano, non ne uscirà uno vivo”, assicura sornione Jonas, vent’anni, nato quando il muro di Berlino era stato già consegnato alla storia. Un suo coetaneo dell’Europa occidentale non ha avuto nemmeno un nonno che gli descrivesse gli orrori del conflitto mondiale e, in alcuni casi, considererà remota l’idea stessa di uno scontro fisico qualsiasi. Qui, come in Estonia, la leva è ancora obbligatoria. Essere chiamati alle armi da un giorno all’altro e morire per la patria è una prospettiva concreta. C’è chi la guerra l’ha già fatta, in Afghanistan sotto le insegne dell’Urss. Come Valdas, sessant’anni, la vodka nel fiato e lo sguardo cupo. Fa il trasportatore, passa spesso per la penisola e parla un italiano discreto. Gli epiteti che rivolge a Putin sono irriferibili e nemmeno Zelensky lo convince (“non capisco cosa vuole”). Gli insulti più pesanti se li prende però Olaf Scholz, bollato all’unanimità di codardia.  Il cancelliere tedesco, dopo le titubanze iniziali, ha fatto parecchio per scrollare dal suo Paese la veste di ventre molle dell’Alleanza. E non solo con il piano da cento miliardi per rafforzare la Difesa nazionale e con i carri armati Leopard spediti in Ucraina. È Berlino che guida il battaglione multinazionale di stanza in Lituania. Ed è la Germania a coordinare “Air Defender 23”. Esercitazione che, “non mira specificamente a nessuno”, ha assicurato il comandante in capo della Luftwaffe, generale Ingo Gerhartz. Anche questa, oggi più che mai, una formula di rito. Negli anni recenti, le inefficenze delle forze armate tedesche sono state fonte, nella stessa misura, di ironia e di preoccupazione. I piloti tedeschi incontrati nella base di Lakunu sono raggianti, soddisfatti di essere lì a mostrare quanto la musica sia cambiata, fieri degli Eurofighter e Tornado fiammanti schierati sulla pista, a fianco degli F-15 da combattimento e dei possenti quadrimotore da trasporto Hercules con la bandiera a stelle e strisce. “C’è voluta una guerra in Europa per convincerli a spendere” è quello che i loro colleghi statunitensi non dicono ma, probabilmente, pensano. Come da tradizione, sulle code dei velivoli, americani e tedeschi, sono dipinti i classici felini ruggenti. Chissà come si mettono d’accordo su chi mette il leopardo e chi la pantera. Il colonnello Anderson, della Louisiana National Guard, è abbastanza abbottonato con i cronisti. Ben piantato, sulla cinquantina, posa marziale e impostata di chi sa di essere preceduto dalla fama dei Top Gun del cinema. Si chiama David ma la toppa sul petto recita il soprannome. “Ripper” Anderson. Squartatore. Gli chiedo quando finalmente i lituani avranno un’aeronautica da combattimento tutta loro, dato che la striminzita flotta attuale conta giusto su qualche apparecchio per operazioni logistiche. Risponde che non cambierebbe nulla, perché c’è comunque la Nato. Ma la proiezione degli Usa, nel ventunesimo secolo, guarda ben oltre il vecchio continente e il contributo richiesto alla Germania oggi non ha precedenti. Alto e allampanato, lo sguardo timido e affabile, piegato sul palchetto, portamento opposto ma stesso cognome È. Bjorn Anderson, comandante del Taktisches Luftwaffengeschwader 71 “Richthofen”, il reparto più antico dell’aeronautica della Repubblica Federale. Parte della forza di risposta rapida della Nato, un’unità di elite, tanto da fregiarsi del nome del Barone Rosso. L’alto ufficiale è entusiasta della vetrina offerta dalle manovre, indica le evoluzioni nel cielo dei suoi Eurofighter Typhoon. “Non vedo l’ora che arrivino gli F-35”, mi dice con un sorriso impostato ma sincero. I piloti si mettono in posa a favore di camera inginocchiati sulle ali, o all’interno delle carlinghe. Che una delle “maggiori priorita’” della difesa lituana sia aumentare la dotazione della propria aeronautica militare, che al momento dispone solo di velivoli da trasporto o per le operazioni di ricerca e soccorso, lo riconosce il Capo di Stato Maggiore lituano, Valdemara Rupsys. “Dobbiamo investire di più nell’aviazione e dobbiamo potenziare le unità e strutture esistenti”, ha affermato. Magari, sottolinea, in maniera congiunta con Estonia e Lettonia. Rupsys ringrazia la Germania “per la leadership e la partecipazione” all’esercitazione, guidata da Berlino, e per la sua “grande attenzione per il fianco destro della Nato, in particolare la Lituania, come dimostrato dallo schieramento di truppe di terra”. A una domanda dell’Agi sulla possibilità di esercitazioni specifiche per la protezione del corridoio di Suwalki, il Capo di Stato Maggiore di Vilnius ammette che si tratta di “uno dei punti più caldi” per la strategia di difesa Nato. “Non tutte le truppe Nato devono però concentrarsi lì”, conclude, “gli aerei che vedete qui hanno l’obiettivo di proteggere e difendere ogni centimetro del territorio dell’Alleanza, non solo il territorio lituano”. La.Lituania deve essere rafforzata”. Lo sforzo tedesco è importante ma non sufficiente, è il messaggio per il cancelliere Scholz. I nuovi piani della Nato in caso di guerra sono soddisfacenti ma neanche questi bastano. “Il punto è: cosa fare in tempo di pace? Che genere di messaggio si manda a Putin?”, ha dichiarato Landsbergis, con la consueta franchezza, in una conversazione con il Financial Times, “purtroppo un messaggio non c’è ancora”. Il pensiero corre ancora a quei cento maledetti chilometri. “Se perdiamo il corridoio di Suwalki, cambia tutto”, ha proseguito il ministro, “i Paesi baltici non possono essere lasciati così come sono”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’omologo estone, Margus Tsakhna, secondo il quale quei nuovi piani “vanno sostenuti con capacità reali”. A ottobre il mandato dell’attuale segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, scadrà, e il norvegese ha già chiarito che non è interessato a una conferma. Il ruolo appare destinato a un baltico, anzi, a una baltica. I lituani puntano molto sulla nomina della loro premier, Ingrida Simonyte, ma anche le quotazioni del primo ministro estone, Kaja Kallas, sono elevate. E questo sì che sarebbe un messaggio per Putin. (AGI)