Lorenzo Montanari, esperto di politica estera del think-tank d’ispirazione reaganiana ‘Americans for Tax Reform’ (Atr) dopo aver seguito passo a passo la campagna elettorale del neo Presidente argentino, Javier Milei, e aver preso parte alla cerimonia d’insediamento, ha analizzato per AGI i primissimi passi dell’istrionico leader ultraconservatore argentino.
Giurando di fronte al Congresso, osserva, “Milei ha chiesto al suo popolo di non avere paura, esattamente come fece Roosevelt” con gli americani dopo il crack del ’29. Con il suo arrivo alla casa Rosada – ha aggiunto – “il Peronismo è al suo ‘ultimo tango'”. Lorenzo Montanari – reggiano doc ma residente dal 2008 negli Stati Uniti – è vicepresidente per gli affari internazionali di Atr, think tank conservatore guidato dal ‘campione’ americano della battaglia contro le tasse: Grover Norquist. Montanari è anche Executive Director di Property Rights Alliance (Pra) ed editore dell’Indice Internazionale dei Diritti di Proprietà che questo centro di ricerca elabora annualmente. Gli chiediamo immediatamente di commentare il discorso d’insediamento del neo Presidente, da molti letto come una richiesta di ‘lacrime e sangue’ agli argentini. “Oltre al famoso discorso “lacrime e sangue” di Winston Churchill ho percepito anche, a tratti, un po’ del discorso inaugurale dell’ex presidente americano Franklin Delano Roosevelt nel 1933, in risposta alla crisi del 1929, soprattutto mi è venuta in mente la sua frase “l’unica cosa che dobbiamo temere è la paura stessa.” Al contrario di Roosevelt, Milei non vuole statalizzare l’economia o approvare un forte piano di sussidi sociali ma liberare l’economia dalla stretta morsa delle corporazioni sindacali e aprire il paese all’economia di mercato. Al tempo stesso, nel suo discorso inaugurale, per la prima volta nella storia pronunciato dalle scalinate del Congresso, non ha voluto “vendere sogni” o promesse populiste ma raccontare la cruda realtà di un paese da decenni in bilico tra la sopravvivenza e il default economico. Frutto di 45 anni di politiche social-peroniste. “No hay plata” (non c’e’ denaro) questa è stata forse la frase più paradigmatica del suo discorso che anticipa una nuova era di responsabilità economica, lotta alla corruzione e all’eccessiva spesa pubblica”.
Montanari rammenta lo “stato economico comatoso” in cui versa Argentina, un Paese divorato da un’inflazione al 150%, dove quasi la metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà. “Certamente – aggiunge – la vera grande sfida per Milei sarà riuscire a far approvare il pacchetto di riforme liberali dal momento che la coalizione di governo non ha la maggioranza nel Congresso”.
L’Europa intanto ha assistito all’ascesa del nuovo leader argentino alternando perplessità e paura. Preoccupano la sua presunta amicizia con Donald Trump ma anche certi atteggiamenti provocatori che hanno caratterizzato la sua campagna elettorale. Montanari, tuttavia, tranquillizza su entrambi i fronti. “Sinceramente, dice, Milei non è Trump: una cosa è il suo stile comunicativo di ‘outsider’ che, a tratti, può farcelo ricordare Milei, un’altra sono le sue idee, in realtà, molto lontane delle tipiche posizioni protezionistiche dell’ex presidente americano. Credo sia molto più corretto paragonarlo all’ex deputato ed ex candidato presidenziale Ron Paul, stella polare del pensiero libertario americano. L’Europa non deve assolutamente temere da un presidente liberale come Milei, anzi per l’Europa ma soprattutto per l’Italia credo si apra una fase di grandi opportunità derivanti dall’inversione economica di un paese come l’Argentina, per metà di origine italiana, proprio sulla scia delle liberalizzazioni promesse da Milei.”
Montanari ridimensiona nettamente il significato della oramai celebre ‘motosega’ brandita da Milei in mezzo alla folla: “La motosega è parte di una strategia comunicativa di successo adottata in campagna elettorale e – spiega – ha rappresentato simbolicamente ed emotivamente la fine della corruzione, di una eccessiva spesa pubblica assistenzialista, che ha fatto sì che la politica non fosse al servizio dei cittadini ma, al contrario, i cittadini al servizio della politica”.
Il primo decreto a firma Milei, non casualmente ha previsto il taglio del numero dei ministeri da 19 a 9. Altre misure per snellire lo stato arriveranno presto, prevede l’analista, perché “Milei è un economista libertario molto vicino alla scuola austriaca dei Mises e Von Hayek, è un imprenditore e un ex Tv pundit, prosegue, che ha saputo captare e interpretare il malessere della gente di tutte le classi sociali.
L’ex ‘underdog’ della politica argentina secondo Montanari ha saputo proporre una idea nuova di Argentina basata sulla libertà della persona dallo strapotere ingerente dello stato. Così facendo “ha dato una visione e una speranza a un paese che aveva perso la fiducia in sé stesso”.
In merito alla prospettiva della liberalizzazione selvaggia e della dollarizzazione dell’economia, l’analista ribadisce come queste siano “le uniche soluzioni al baratro provocato da un’iperinflazione che potrebbe anche arrivare, secondo le stime, al 15.000%”. Inoltre, “la dollarizzazione al momento attuale è l’unica misura in grado di stabilizzare l’economia”. Stando alle previsioni (le più caute) citate dallo studioso l’economia argentina subirà una contrazione di almeno l’1,8% nel 2023 e dello 0,7% nel 2024. “Il 10 di dicembre – sottolinea – rimarrà una data storica per l’Argentina che ama la libertà: la vittoria di Milei potrebbe rappresentare l’ultimo “tango” del peronismo ed è sicuramente la fine del paradigma assistenzialista e terzomondista di un paese che sperava di entrare più nei Brics che nell’Ocse”. “Con Milei, taglia corto, tutto ciò cambia perché lui riporterà l’Argentina nell’alveo delle liberal-democrazie”.
Tornando sui grandi temi di politica estera, Montanari ribadisce l’importanza non solo simbolica della presenza del presidente ucraino Zelensky a Buenos Aires, durante il giuramento. Ma che ne sarà di questo rapporto ‘privilegiato’ se alla Casa Bianca tornasse Trump? “Non posso parlare a nome di Milei – chiarisce – ma credo proprio, viste le sue idee, che l’appoggio verso l’Ucraina e a Israele sarà incondizionato”. (AGI)