AGI – Una delle agende bilaterali più fitte del G20 di Roma è stata quella di Narendra Modi. Con Putin e Xi assenti, Bolsonaro tenuto a distanza e il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, rimasto in patria per seguire le elezioni amministrative, il primo ministro indiano è stato l’unico leader che rappresentasse a Roma il blocco di grandi economie emergenti riassunte nell’acronimo ‘Brics’. Un’occasione che Modi ha saputo cogliere al volo, grazie a una congiuntura geopolitica che offre a Nuova Delhi la chance di fare il salto dalla dimensione di potenza regionale a quella di superpotenza.
Nel tentativo di contenere una Cina che ormai minaccia Taiwan in modo sempre più esplicito, per l’Occidente è diventato indispensabile consolidare l’alleanza con una nazione di 1,38 miliardi di abitanti che, nella competizione tra democrazie e autocrazie che è la lente attraverso cui Joe Biden guarda il mondo, gioca nel primo campo. E Modi sta iniziando ad avvertire in modo sempre più concreto la pressione di Pechino, sia in maniera diretta, con le periodiche scaramucce nelle aree di confine contese, sia indiretta, con il sostegno cinese, tradizionale ma crescente, all’arcinemico Pakistan, che proprio grazie al Dragone si dotò dell’arma nucleare (l’atomica indiana si appoggio’ invece su tecnologie sovietiche).
I “due forni” occidentali dell’India
Nella corsa dell’Occidente a rafforzare le proprie posizioni nell’Indo-Pacifico, Modi ha saputo anche sfruttare a suo favore la frattura aperta dalla ‘crisi dei sottomarini’ che ha aggravato le distanze tra la Francia e l’anglosfera. Nuova Delhi, che fa già parte dell’alleanza strategica ‘Quad’ con Usa, Giappone e Australia (alleanza, quindi, parzialmente sovrapponibile alla neonata ‘Aukus’), a Roma ha cercato la sponda di Parigi, con l’ambizione di diventare punto di riferimento per tutti in assenza di una strategia Nato condivisa di contrasto alla Cina.
È stato in quest’ottica fondamentale il vertice bilaterale con il presidente francese Emmanuel Macron, con il quale, hanno riferito fonti dell’Eliseo, è stata constatata una “profonda convergenza strategica” sullo scacchiere indo-pacifico ed è stato avviato un meccanismo di consultazione che dovrebbe essere concretizzato già nei prossimi giorni.
Nuova Delhi la spunta sul clima
In cambio dell’ormai imprescindibile sostegno di Modi in uno scacchiere geopolitico divenuto incandescente, Europa e Stati Uniti hanno dovuto offrire in cambio che la dichiarazione finale del G20 contenesse indicazioni molto vaghe sul taglio delle emissioni.
Se l’India è diventata così importante, non la si può costringere a soffocare una crescita che, nonostante l’elevatissimo prezzo in vite umane pagato alla pandemia (i morti per Covid-19 sono oltre 458 mila), sta conoscendo uno spettacolare rimbalzo. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, il Pil crescerà del 9,5% quest’anno e dell’8,5% nel 2022, un ritmo che fa impallidire anche la Cina. Questa espansione economica poggia però su un elevato ricorso al carbone e consuma quasi 4,5 milioni di tonnellate di petrolio al giorno, date le dimensioni del territorio e il ruolo fondamentale del trasporto su gomma.
Il costante rifiuto dell’India di impegnarsi per obiettivi precisi sull’azzeramento delle emissioni al G20 è finito per diventare il compromesso che ha salvato la faccia a tutti. Il generico termine di “metà secolo” inserito nella dichiarazione finale non è il 2050 desiderato da Usa e Ue ma non è nemmeno il 2060 chiesto da Russia e Cina. Quando, dopo la Cop di Glasgow, Modi tornerà in patria potrà dire ai suoi cittadini di essere tornato dal G20 dal vincitore senza essere smentito. E il prestigio aggiuntivo della visita promessa dal Papa, dopo un caloroso incontro in Vaticano, di certo non guasta all’immagine di un leader sempre più consapevole di guidare una nazione troppo grande per avere ambizioni strategiche modeste.
Source: agi