MIRENDA, IL MAGISTRATO ANTI CORRENTI CANDIDATO AL CSM


Paolo Comi

Si è battuto contro “il sistema” e non ha mai accettato che Palamara diventasse il capro espiatorio. Difficile prevedere se verrà eletto, ma il 42 per cento delle toghe ha votato a favore del sorteggio nel referendum Anm
Il giudice Andrea Mirenda è candidato alle prossime elezioni per la componente togata del Consiglio superiore della magistratura. Sembra uno scherzo ma è vero. Mirenda, magistrato di sorveglianza a Verona e fautore da sempre del sorteggio per la scelta dei togati di Palazzo dei Marescialli, è stato a sua volta sorteggiato questa settimana dall’Ufficio elettorale presso la Corte di Cassazione.
La riforma Cartabia, da poco in vigore, ha previsto infatti che se non si fosse raggiunto un numero di predeterminato di candidati in ogni singolo collegio, sarebbe stato necessario provvedere alla selezione dei magistrati mancanti tramite il sorteggio.
La candidatura di Mirenda è certamente la più “anti sistema” che ci possa essere.
Vale la pena ricordare la sua storia. Dopo essere stato per anni un esponente di primo piano della sinistra giudiziaria di Magistratura democratica, Mirenda si scontrò con la dirigenza del gruppo non condividendone scelte e modi di agire, poi raccontati nei libri di Luca Palamara.
Quando ancora nessuno conosceva l’hotel Champagne, albergo romano dove nel maggio del 2019 Palamara e alcuni politici e magistrati si incontrano per discutere di incarichi, ad iniziare da quello di procuratore di Roma, Mirenda fece un gesto a dir poco rivoluzionario: rinunciare al suo incarico di presidente di sezione presso il tribunale di Verona per andare all’ufficio di sorveglianza.
“È emerso ciò che molti sapevano ma che pochi avevano avuto il coraggio di denunciare pubblicamente negli ultimi trenta anni”, disse Mirenda all’indomani dello scoppio del Palamaragate e della pubblicazione delle chat che i magistrati scambiavano con il ras indiscusso delle nomine al Csm, per avere un posto.
Quando esplose lo scandalo, Mirenda, che non aveva mai avuto il cellulare di Palamara, si era anche offerto di difenderlo davanti alla sezione disciplinare del Csm. Considerato come un reietto, Palamara, prima di affidarsi a Stefano Guizzi, non aveva trovato alcun collega disposto ad assisterlo. Dopo aver chiesto, insieme ad altri colleghi, lo scioglimento del Csm, Mirenda iniziò una battaglia di verità proprio sulle chat, utilizzate a corrente alternata al Csm: per alcuni una clava, per altri un carezza. Nel mirino del giudice veronese l’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, autore della criticatissima circolare che escludeva l’illecito per il magistrato che si fosse autoraccomandato con Palamara per un incarico.
Un po’ quello che era successo a Salvi che aveva, secondo Palamara, organizzato un incontro su un roof garden di un prestigioso albergo romano per perorare la sua nomina a pg della Cassazione. Salvi aveva smentito, Palamara aveva confermato, ricordando anche le pietanze di quel giorno. Durissimo, poi, sulla riforma Cartabia. Mutuando le parole del capo dello Stato Sergio Mattarella che parlò di “modestia etica” a proposito delle vicende dello Champagne, Mirenda definì l’elaborato voluto della Guardasigilli frutto della “modestia riformista”, essendo un testo che non incideva sul potere delle correnti, aumentato il potere del Csm per la scelta dei capi degli uffici.
Potere che sarebbe stato tolto se si fosse scelta la rotazione dei vertici. Critico, poi, contro la decisione dell’Anm di scioperare contro tale riforma. “Uno sciopero di facciata”, secondo il magistrato.
E critico contro i conflitti d’interessi. Il primo rappresentato dal professor Massimo Luciani, difensore del Csm e nominato dalla ministra della Giustizia presidente della Commissione che doveva riformare l’organo di autogoverno delle toghe: “Siamo davvero certi della sua terzietà e indipendenza?”. Il secondo rappresentato dal presidente dell’Anm Giuseppe Santucia, ex capo ufficio legislativo del Ministero della giustizia: “È come se Sergio Marchionne fosse stato nominato capo del Film”.
Mirenda è stato anche fra i firmatari di alcuni referendum sulla giustizia promossi dai Radicali e dalla Lega. Ad esempio quello sulla separazione delle carriere fra pm e giudici e sull’abolizione della legge Severino: “Adesso è sufficiente un buffetto di una Procura per destabilizzare il quadro politico. Penso ad Antonio Bassolino, 17 azioni giudiziarie finite nel nulla”, ricordò.
Due le frasi che ama ripete, una è di Sandro Pertini, “il giudice non deve accontentarsi di essere indipendente, deve apparirlo”, per quanto riguarda le condotte inopportune di certi suoi colleghi. L’altra, invece, è di Marco Pannella, “siete ladri di verità”, a proposito di chi voleva derubricare il Palamaragate all’azione di un singolo “mariuolo”. Come disse Bettino Craxi quando arrestarono Mario Chiesa. E poi si è visto cosa successe. Riuscirà ad essere eletto? Difficile fare previsioni. Certo è che il 42 percento dei magistrati aveva votato per il sorteggio in occasione del referendum consultivo promosso .

Fonte: Il Riformista