Minori trattati come pacchi: quelle falle che il decreto Caivano ora acuisce


Acausa della mancanza di posti negli istituti penali, i minori arrestati sono costretti a lunghi spostamenti, da Nord a Sud, in attesa di una collocazione più o meno stabile con difficoltà di vario genere che si ripercuotono sull’attività dei difensori. È il caso anche di un minore difeso da Federica Liparoti del Foro di Milano. «Al mio assistito – spiega al Dubbio l’avvocata -, arrestato a Milano e trasferito prima in Sicilia e poi in Campania, è stato negato il diritto di partecipare all’udienza poiché non vi sono mezzi e uomini della polizia penitenziaria che possano portarlo nel capoluogo lombardo. Il processo penale minorile dovrebbe avere una finalità educativa. Inoltre, non è possibile garantire il diritto di difesa attraverso un collegamento video». Già, perché il minore accusato di rapina, ora recluso in Campania, non potrà essere presente di persona all’udienza in programma oggi a Milano. Sarà quindi costretto a partecipare da remoto. Una modalità che lascia perplessa l’avvocata Liparoti. «Tutto ciò – riflette – non è compatibile con ben precise esigenze difensive. Il mio assistito potrebbe, all’interno del rito abbreviato, avanzare anche la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. Al fine di accedere alla messa alla prova il giudice fa alcune domande al minore con le quali cerca di capire se ha effettuato un percorso di rielaborazione critica della condotta. Tutto però diventa problematico con la modalità del video- collegamento. Il processo penale minorile dovrebbe avere una finalità rieducativa, è fortemente indicata la partecipazione in udienza del minore e la messa in prova deve essere chiesta personalmente dall’imputato». Il caso specifico affrontato da Liparoti si inserisce in un discorso più ampio che riguarda altri aspetti, a partire dalle condizioni in cui versano gli istituti penali per i minorenni. «Queste strutture – commenta l’avvocata – sono al collasso. Più di un mio cliente ha dovuto attendere diversi giorni a San Vittore, prima che il Dap individuasse un istituto con un posto. I minori che vengono arrestati a Milano spesso non possono essere ospitati nel Beccaria e vengono quindi trasferiti nelle carceri del Sud Italia, in modo particolare in Sicilia o in Campania. Ciò rende la detenzione dei minori dolorosa, poiché vengono sradicati dagli affetti familiari e dal tessuto sociale di origine. Senza dimenticare le ricadute sul diritto di difesa, a partire dai colloqui tra avvocato e assistito che diventano molto difficili da organizzare».

In questo contesto si aggiunge un’altra carenza negli Ipm: quella dei mediatori culturali. «Una grande fetta di popolazione carceraria minorile – aggiunge Liparoti – è straniera. Al fine di far partecipare i minorenni alle attività culturali ed educative, è necessaria la presenza di mediatori culturali e di interpreti che possano consentire ai giovani di comunicare con chi lavora negli istituti penitenziari e con i difensori. Io molte volte ho difficoltà a fare i colloqui. Non mancano altre contraddizioni. Si aumenta il ricorso al carcere, ma le carceri non sono pronte ad accogliere sempre più minori».

Da avvocata che si occupa di imputati minorenni, Liparoti riflette pure sulle norme introdotte dal recente “Decreto Caivano”, che interviene sul processo penale minorile: «Vi sono alcuni aspetti positivi, che hanno trovato tuttavia poco spazio nella narrazione pubblica, e molte criticità. Ritengo di particolare interesse la previsione di una norma secondo la quale viene resa possibile l’applicazione della messa alla prova sin dalla fase delle indagini. Il pubblico ministero, in caso di reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione ovvero la pena pecuniaria, notifica al minore e all’esercente la responsabilità genitoriale l’istanza di definizione anticipata del procedimento, subordinata alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo. Il mancato accesso al percorso o la sua interruzione ingiustificata preclude l’eventuale successivo accesso all’istituto della sospensione del processo e messa alla prova. Qualora, al termine del percorso di rieducazione, il giudice valuti positivamente l’esito del programma, pronuncia sentenza di non luogo a procedere dichiarando l’estinzione del reato. Questa norma, a mio avviso, potrebbe comportare una importante deflazione dei procedimenti davanti ai Tribunali per i Minorenni, che ad oggi dispongono di un numero limitato di magistrati e cancellieri». La normativa derivante dall’onda emotiva dei fatti di Caivano presenta alcune criticità. «Prima fra tutte – conclude Liparoti – la riduzione del limite da nove a sei anni di reclusione dei delitti non colposi per i quali il giudice può disporre nei confronti dei minorenni la misura cautelare della custodia in carcere. È prevista altresì la possibilità di applicare la misura di massimo rigore, indipendentemente dal limite edittale, per alcuni specifici reati tra cui il furto aggravato, il furto in abitazione, il furto con strappo. Inoltre, il dl modifica la disciplina dei termini di durata massima delle misure cautelari, ridotta rispetto a quella dei maggiorenni. I termini, per effetto del decreto, risultano ora infatti ridotti solo di un terzo per i reati commessi da minori degli anni diciotto e solo della metà per quelli commessi da minori degli anni sedici».

fonte: Il Dubbio