Padre Albanese ricorda che la gran parte dei Paesi industrializzati, tra cui l’Italia, non ha mai raggiunto la cifra promessa dello 0,7% del Pil per la cooperazione internazionale. “In oltre cinquant’anni, pochi Paesi hanno raggiunto quel traguardo: per prima la Svezia nel 1974, seguita dall’Olanda, dalla Norvegia, dalla Danimarca e dal Lussemburgo. Nessun altro Paese lo ha rispettato e la media di quelli firmatari non è mai stata superiore allo 0,5% del Pil. E il contributo italiano si segnala per inadempienza. Nell’esercizio finanziario nazionale del 2023 ha subito infatti un netto calo del 15%, raggiungendo appena lo 0,3% del Pil. Fattore anche questo passato sotto silenzio dal governo nella manovra di bilancio”.
Sulle guerre in corso Padre Albanese ha ricordato nella Basilica di San Paolo l’Ucraina e il Medio Oriente. “Quella ucraina in particolare – riflette il missionario comboniano – è una guerra tra due Paesi cristiani. C’è stato evidentemente un deficit di evangelizzazione. E’ sbagliato il motto ‘Si vis pacem, para bellum’. Quella era la pax romana, che imponeva la sottomissione. Il significato della Giornata Missionaria mondiale di ieri deve essere ‘Si vis pacem, para pacem’. Le differenze sono un dono di Dio, non una disgrazia”. “Quella di ‘Paese sicuro’ è una definizione rischiosa, perché non tiene conto della complessità degli scenari. La Nigeria, ad esempio, è considerata un Paese sicuro, ma in non poche città nigeriane la maggioranza degli abitanti vive nelle baraccopoli, in condizioni subumane. La distinzione tra migranti economici e rifugiati politici lascia il tempo che trova. Un essere umano che non ha cibo né acqua non dovrebbe migrare per cercare condizioni di vita migliori?”. Padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese della diocesi di Roma, ha parlato nel weekend dall’altare della Basilica di San Paolo Fuori le Mura per la veglia, in cui sono stati dati i mandati a nuovi missionari cattolici (religiosi e non) per Paesi come Vietnam, Timor est, Honduras, Kenya.
Sul caso Albania Padre Giulio Albanese riflette: “I magistrati italiani hanno doverosamente eccepito non sul merito della scelta dei Paesi terzi di origine sicuri, ma sui criteri adottati dall’Italia in difformità da quanto previsto nella direttiva 2013/32 e ribaditi dalla Corte di giustizia Ue con sentenza dell’ottobre scorso. Ovvero non si può riconoscere come sicuri Paesi che in alcune parti del loro territorio o per alcune categorie NON garantiscono la tutela dei diritti e libertà e le convenzioni internazionali ed europee. Tale possibilità era prevista nella direttiva del 2005 ma poi è stata cancellata in quella del 2013 per ragioni comprensibili e motivate e i magistrati degli Stati membri hanno l’obbligo di far rispettare le normative Ue che sono sovraordinate alle legislazioni nazionali. Se stasera il governo si limiterà, come sembra, alla determinazione per legge dell’elenco dei 22 Paesi riconosciuti come sicuri dall’Italia, ma senza modificare quei criteri adottati per 15 dei 22, non solo non cambierà la sostanza della questione ma si irrigidirebbe una classificazione che la stessa Corte del Lussemburgo chiede che sia costantemente monitorata e aggiornata”.(AGI)