Michel Eyquem, signore di MONTAIGNE


Enciclopedia Italiana (1934)
Nato nel castello di M., di cui era signore suo padre, il 28 febbraio 1533, e quivi morto il 13 settembre 1592. La sua famiglia si era arricchita nel commercio e apparteneva ormai alla nobiltà; il padre, Pierre Eyquem, lo educò secondo un’originale pedagogia umanistica, di cui aveva appreso i principî in Italia: i genitori, la servitù, e quanti avvicinavano il bambino, non gli parlavano se non in lingua latina, e soltanto a sei anni, nel collegio Guyenne, a Bordeaux, apprese a conoscere il francese. Inoltre, il padre volle che fosse allevato “in piena dolcezza e libertà”; temeva persino che i sonni del fanciullo fossero interrotti bruscamente, e lo faceva svegliare al suono di qualche strumento musicale. Certo, ne favoriva in tal modo una indolenza nativa, che non si scompagnò mai dal carattere del M., ma insieme lo disponeva alla placida serenità in cui si svolse quel raro spirito di osservazione e di meditazione. Uscito di collegio a tredici anni, il giovine M. studiò giurisprudenza a Tolosa e a Bordeaux, e nel 1554 entrava nella magistratura, acquistando il titolo e l’ufficio di consigliere presso il tribunale di Périgueux; tre anni dopo, passava al “parlamento” cioè alla curia di Bordeaux, di cui fece parte fino al 1570, pur allontanandosi a varie riprese per frequentare la corte a Parigi, o seguirla nei suoi viaggi in provincia (a Bar-le-Duc nel 1559, a Rouen nel 1562). Fra i suoi colleghi del tribunale di Bordeaux, conobbe Étienne de La Boétie, a cui lo strinse una calda e nobile amicizia, e che esercitò un profondo influsso sulle sue idee morali e politiche. Sposò nel 1565 Françoise de la Chassaigne, figlia di un magistrato: n’ebbe alcuni figli, di cui solo una, di nome Eleonora, gli sopravvisse. Nei contrasti religiosi che dilaniavano la Francia, sostenne l’unità di culto e professò la fede cattolica. Mortogli il padre nel 1568, divenne il capo della famiglia e ben presto pensò di abbandonare gli uffici e di ridursi a vita privata nel castello del padre, per consacrarsi ormai tutto alla lettura e agli studî, come attesta l’iscrizione che, in data 28 febbraio 1571, compiendo il suo trentottesimo anno di età, fece apporre nella sua biblioteca: il “dolce ritiro paterno” era sacro “alla sua libertà, alla sua tranquillità ed ai suoi agi”.
Nel soggiorno di Bordeaux aveva atteso a un primo lavoro, la traduzione in francese della Theologia naturalis di Raimondo di Sabundia: traduzione che fu pubblicata a Parigi nel 1569; le ampie e riposate letture a cui si dedicò nella torre di Montaigne, movendo dagli scrittori classici e dai moralisti, costituirono la prima base degli Essais, che apparvero in volume nel 1580. E dopo la decenne solitudine di lavoro, si offrì lo svago d’un lungo viaggio, che durò diciassette mesi (dal 22 giugno 1580 al 30 novembre 1581), attraverso la Francia, la Svizzera, la Germania e l’Italia; eletto nel frattempo sindaco di Bordeaux, e, pur avendo dichiarato per quanta parte egli si giudicasse inetto all’ufficio, lo esercitò con saggezza e con abilità, sì che allo scadere del primo biennio, gli fu rinnovato; il M. ebbe a difendere la sicurezza della città nei pericoli della guerra civile (le terre di sua proprietà furono messe a sacco); in tali frangenti si dimostrò fermo ed energico; ma, al sopravvenire di una grave epidemia, premuroso dell’esistenza de’ suoi, si allontanò con tutta la famiglia in cerca di luoghi più salubri. Alla fine di luglio del 1585, nuovamente libero dalle cure della vita pubblica, ritornò allo studio; preparò una nuova edizione degli Essais, a cui aggiunse un terzo libro; trovandosi a Parigi per procurarne la stampa, il 10 luglio 1588 fu arrestato, come fedele al re Enrico III, dai partigiani della Lega e condotto alla Bastiglia, ma vi restò poche ore, grazie all’intervento della regina madre, Caterina de’ Medici. Seguì la corte del re di Francia a Rouen e a Blois; visitò in Piccardia Marie De Jars de Gournay (v.), una sua fervida e devota ammiratrice, che aveva conosciuta a Parigi e che considerò come la sua figlia d’elezione.
Il nuovo re di Francia, Enrico IV, lo chiamò al suo servizio, ma egli, con una lettera del 2 settembre 1590, mentre lo assicurava della sua devozione, declinò l’invito. Arricchì fino all’ultimo di nuove postille un esemplare degli Essais, su cui, dopo la sua morte, Marie de Gournay e un magistrato di Bordeaux, Pierre de Brach, prepararono l’edizione del 1595. Il volume annotato dal M. si conserva ancor oggi nella biblioteca municipale di Bordeaux.
Le tre edizioni successive degli Essais (1580, 1588 e 1595; una ristampa del 1582 non offre se non lievi varianti sulla prima edizione) rappresentano assai bene lo sviluppo del pensiero e dell’arte del M. Gli scrittori del Rinascimento avevano prediletto, a esercizio e riserva del loro vasto e confuso sapere, certi libri di Adagi (come quello di Erasmo), di Lezioni (come quello di Pietro Messia), di Paradossi (come Ortensio Lando), Dubbî, Quesiti, ecc. E in quella tradizione è lo spunto, l’occasione letteraria degli Essais del M.: i primi vi appartengono ancora; derivano dai libri antichi una sentenza, e legano pochi aneddoti in una digressione curiosa. Via via, quella trama facile e pigra si rinsangua di un proposito nuovo, ch’è il ritratto, l’immagine dell’uomo: l’uomo ch’è il M. (“Non c’è nessuno, ove s’ascolti, che non scopra in sé una propria forma, una forma maestra, che lotta contro l’educazione…”), e insieme un’idea che sconfina dalla sua coscienza immediata (“L’uomo porta in sé la forma integra dell’umana condizione”); e in questo insoluto rapporto, in questo vincolo tra le più intime confidenze e il concetto universale dell’uomo, è l’incanto degli Essais. Essi colgono il pregio di ogni linea più sincera, la distinguono nei crepuscoli di un umanismo soggettivo: “io non dipingo l’essere, dipingo il passaggio… La mia anima è sempre in noviziato e in prova”: e per questo, con nome propriamente geniale li ha chiamati “saggi”, che vuol dire “esperienze”.
Esperienza ch’egli disegna e approfondisce sempre più sopra sé stesso; il progresso del M. attraverso lo svolgimento del suo lavoro pacato e originale consiste nella prevalenza sempre maggiore ch’egli diede alla rappresentazione dell’io; e recò in questo assunto una franchezza così ingenua e delicata e nello stesso tempo una finezza ironica così incisiva, che, al termine del libro, l’aspetto complesso e fuggevole dell’uomo ch’egli fu riesce intero, caldo di vita: i suoi tratti ci rimangono come la memoria personale di un uomo che abbia vissuto con noi, nelle ore serene e pensose dello studio, della conversazione. Allo sviluppo e al predominio della descrizione dell’uomo, ricercato nella propria persona e nella propria anima, si accompagna un’adesione sempre più consapevole e schietta a quella “filosofia della natura”, che nelle idee morali degli umanisti a lui noti, si contrapponeva allo stoicismo, ed era intessuta di elementi essenzialmente epicurei. Un atteggiamento spirituale conforme alle dottrine stoiche si può osservare nei primi saggi, ma è facile riconoscervi l’ossequio ancora formale a un principio di scuola; e soprattutto alla critica dello stoicismo è rivolto quel periodo di analisi scettica, a cui non fu estranea la lettura di Sesto Empirico, e che culmina nell’Apologie de Raimond Sebond (amplissimo saggio che sta al centro dell’opera, lib. II, 12): vero atto di accusa contro la superbia e la vanità del ragionamento, sì da lasciare libero il campo alle aspirazioni della fede come alla spontaneità degl’impulsi naturali.
L’immagine comune del M., come tipo dello scettico, procede appunto da questo periodo intermedio, e dalle sue frequenti dichiarazioni di “non prendere partito”, di non volersi risolvere di fronte ai problemi controversi; ma era questo uno scetticismo ehe doveva lasciarlo libero nella sua indagine morale, uno scetticismo limitato alle posizioni della cultura in cui si svolse, una cautela di fronte alla scienza del tempo, ch’era tanto più sistematica nella sua espressione quanto più oscillante nelle sue basi. Nemico all’astrattismo, il M. si volge con simpatia verso i naturalisti; nel clima mentale del Cardano, del Telesio, si può ricostituire la storia di tutta una parte degli Essais, e anche sotto l’aspetto morale – ch’è senza dubbio il più significativo – quanto v’è di sostanziale e continuo è compreso nel naturalismo colorato di una tendenza epicurea, che si effonde nel terzo libro, nelle aggiunte della 2ª e dell’ultima edizione. All’ideale stoico di una virtù severa e dolorosa, il M. oppone l’espansione di tutte le facoltà dell’uomo in conformità della sua natura: “Io amo la vita e la coltivo, quale piacque a Dio di accordarcela”. Conoscendo sé stesso, l’uomo si rende più facilmente signore delle sue azioni e le può rivolgere ai fini che meglio concordano con la sua condizione naturale e che saranno più utili a lui e agli altri. Le stesse idee applicò alla pedagogia, in tre saggi di grande importanza (I, 25, Du pédantisme; I, 26, De l’institution des enfants; II, 8, De l’affection des pères aux enfants).
La cultura classica del M. fu molto estesa; conosceva a fondo tutti i grandi scrittori latini, i poeti, gli storici e i moralisti, fra i quali specialmente Seneca; dei greci, preferì su tutti Plutarco, le Vite e gli Opuscoli, nella traduzione dell’Amyot, che gli piaceva immensamente come modello di prosa e da cui ricavò passi interi che figurano negli Essais in piena armonia con lo stile del M. Leggeva nel testo, oltre al Petrarca, gli scrittori italiani del suo tempo, il Machiavelli e il Guicciardini, l’Ariosto e il Tasso; possedeva nella sua biblioteca un centinaio di raccolte di lettere italiane. Delle sue varie letture e cognizioni si valeva come di uno stimolo, o di un pretesto, per avviare le sue riflessioni, che lasciava poi libere e svagate, ma che non riescono mai superficiali; anzi, è propria del M. una penetrazione luminosa e sicura, che rivela, oltre alla sua curiosità di tutte le espressioni dell’animo umano, una costante facoltà di dominio e di comprensione, di calma spirituale e d’indipendenza; l’arte degli Essais segnava la via ai grandi moralisti, e, in genere, ai grandi prosatori francesi, salvando per l’avvenire il fiore più vitale dell’Umanismo.

La fortuna degli Essais fu vasta e durevole: in Francia, essi furono imitati, e in certo modo sistematizzati, da Pierre Charron nel trattato De la Sagesse (1601); sulle orme del M., il Pascal mosse allo “studio dell’uomo” e lo stabilì come una premessa della sua difesa della religione. Ammirato dai “libertini” o fautori del libero pensiero, il M. divenne a poco a poco sospetto ai cattolici e fu combattuto dal Bossuet e dal Malebranche (gli Essais vennero messi all’indice nel 1676). Il Bayle e gl’illuministi lo esaltarono di nuovo, e i suoi principî pedagogici trovarono un’eco sonora e prolungata nell’Émile del Rousseau.
La letteratura inglese si appropriò l’essai; il semplice nome dapprima con Francesco Bacone (Essays, 1597), indi il genere, che fiorì tenace fino ai nostri giorni; e al M. si accostarono per affinità spirituali R. Burton, Th. Browne, G. Savile, W. Temple, e molti altri. La prima traduzione inglese, assai felice, degli Essais del M. è dovuta all’italiano Giovanni Florio (1603), e fu nota allo Shakespeare, al Webster e agli altri drammaturghi elisabettiani. La Germania ebbe un’eccellente versione del M. con C. Bode (ed. postuma 1793-1799), e, da J. P. Richter fino al Nietzsche, considerò gli Essais come una sorgente vitale di cultura psicologica e morale.
In Italia una prima traduzione, parziale, apparve a Ferrara nel 1590 per cura di G. Naselli (Discorsi morali, politici et militari del molto illustre Sig. Michiel di Montagna), e una completa, di G. Canini, a Venezia nel 1633 (Saggi di M. di M., overo Discorsi naturali, politici e morali; vi manca l’Apologie de Raimond Sebond, che venne pubblicata a parte, nel 1634: Apologia di Raimondo di Sebonda. Saggio di Michiele signor di Montagna, nel quale si tratta della debolezza et incertitudine del discorso Humano). Della versione del Canini curò una ristampa ammodernata Achille Mauri (Brescia, 1831-1832, voll. 9). Sull’edizione Coste furono condotte la traduzione di “un accademico fiorentino” (Amsterdam 1785), e quella di N. Contini (Milano 1871 e segg.); sull’edizione J.-V. Leclerc, quella di D. L. Darakys (Pisa 1833-34).
L’imitazione del M. si ravvisa nei Discorsi morali politici et naturali di Flavio Querenghi (Padova 1644); altri raccostò aglì Essais (ma su dati esterni, e senza una prova sicura) i Pensieri diversi di A. Tassoni. Fra i lettori moderni del M. si ricordano l’Alfieri, il Foscolo, il Giusti, che si provò a tradurlo e ad imitarlo. Direttamente ispirati al M. sono i Discorsi letterari e filosofici di F. Lomonaco (Pavia 1809).
Assai scarsa la fortuna in Spagna: dopo F. de Quevedo (che trattò del M. nella Difesa di Epicuro (1635), conviene giungere agli eruditi del secolo XIX per trovare qualche giudizio meditato e intelligente.
Il Journal de voyage en Italie, il cui ms. fu scoperto, e per la prima volta pubblicato, nel 1774, non ha nessuna intenzione letteraria; il M. dettava a un segretario le sue impressioni giornaliere sui paesi visitati, osservando con gran cura il decorso della nefrite che lo affliggeva e per curare la quale cercava le fonti più accreditate di acque medicinali. Il viaggio, iniziato per la Svizzera e la Baviera, aveva come meta l’Italia, dove il M. con i suoi compagni entrò alla fine d’ottobre del 1580 passando per il Trentino e proseguendo sulla via di Verona e Vicenza; visitata brevemente Venezia, il M. scese a Rovigo, Ferrara, Bologna, Firenze, Siena, e il 20 novembre era a Roma: vi si trattenne circa cinque mesi; indi riprese la via del ritorno. Ai bagni di Lucca, volle provarsi con la lingua italiana, che possedeva già alquanto, e le sue prime linee son queste: “Assaggiamo di parlar un poco questa altra lingua, massime essendo in queste contrade dove mi pare sentire il più perfetto favellare della Toscana, particolarmente tra li paesani che non l’hanno mescolato et alterato con li vicini…”. Risalendo per la Lunigiana e la valle del Po, con un breve giro da Pavia su Milano e Novara, proseguì a dettare le sue osservazioni in italiano, fino ch’ebbe valicato il Cenisio; in Savoia, dopo Lanslebourg, tornò a usare il francese.
La visione di Roma domina con la sua grandezza le pagine variegate del diario: il M. vide il papa, assisté alle cerimonie solenni, alle pubbliche feste, ai supplizî; frequentò cardinali, ambasciatori, antiquarî, cortigiane. Non badò gran che all’arte del tempo, che pure era nel suo pieno rigoglio; ma fu assorto lungamente in quel che più lo attraeva: la memoria di Roma antica, disseminata a fior di terra, avvinta alle rovine come una foglia d’acanto, viva e superba nel silenzio e nell’abbandono.
Non dal Journal, ma da un passo che, di ritorno nella sua torre, il M. aggiunse al celebre saggio, l’Apologie de Raimond Sebond, risulta che a Ferrara egli visitò il Tasso, rinchiuso allora in Sant’Anna, e che fu profondamente commosso nel vedere quel grande spirito avvilito, immerso nello stupore e quasi “accecato dalla sua propria luce”.
Ediz.: Øuvres complètes de M. d. M., a cura di A. Armaingaud, Parigi 1924 e segg. (voll. 8, pubblicati); Øuvres complètes de M., a cura di J. Plattard, Parigi 1931 e segg.
Essais: edizione della città di Bordeaux, a cura di F. Strowski, F. Gébelin e P. Villey, Bordeaux 1906-1933 (5 volumi dei quali i primi tre comprendono il testo, il 4° lo studio delle fonti, il 5° il lessico); una riproduzione fototipica dell’esemplare della biblioteca di Bordeaux, con le postille autografe del M., fu edita a cura di F. Strowski, 3 volumi, Parigi 1912; edizione a cura di P. Villey, 3 volumi, Parigi 1922-23 (2ª, riveduta, 1930).
Journal de Voyage en Italie: ediz. D’Ancona (L’Italia alla fine del secolo XVI: Giornale di viaggio di Michele de M.), Città di Castello 1895; ediz. a cura di L. Lautrey, Parigi 1906 (2ª ed., 1909); ediz. a cura di Armaingaud (voll. 7-8 delle Øuvres complètes, 1928-1929).
Bibl.: P. Bonnefon, M.: L’homme et l’øuvre, Bordeaux e Parigi 1893; id., M. et ses amis, nuova ed., Parigi 1898; P. Stapfer, M., ivi 1895 (coll. Les Grands Écrivains de la France); G. Guizot, M.: Études et fragments, ivi 1899; E. Champion, Introduction aux Essais de M., ivi 1900; F. Strowski, M., ivi 1906 (2ª ed., 1931); id., De M. à Pascal, ivi 1907; J. de Zangroniz, M., Amyot et Saliat, ivi 1906 (Bibl. littér. de la Renaissance, VII); P. Villey, Les Sources et l’Évolution des Essais de M., ivi 1908 (2ª ed., 1933); id., Les livres d’histoire moderne utilisés par M., ivi 1908; M. Schiff, La fille d’alliance de M.: Marie de Gournay, ivi 1910 (Bibl. littér. de la Renaissance, I, 10); J. Coppin, Étude sur la grammaire et le vocabulaire de M. d’après les variantes des Essais, e M. traducteur de Raymond Sebond, entrambi, Lilla 1925; D. Valeri, M., Roma 1925 (coll. Profili, n. 80); J. Prévost, La vie de M., Parigi 1926 (coll. Vies des hommes illustres); G. Lanson, Les Essais de M., ivi 1930; P. Villey, Les Essais de M. de M., ivi 1932 (coll. Les grands événements littéraires); id., M., ivi (1933) (coll. Maîtres des Littératures).
Sulla fortuna del M.: J. Texte, La descendance de M.: Sir Thomas Browne, in Études de littér. européenne, Parigi 1898, p. 51 segg.; G. Norton, The influence of M., Boston-New York 1908; P. Villey, M. en Angleterre, in Revue des deux mondes, 15 sett. 1913, p. 115 segg.; id., M. et les poètes dramatiques anglais du temps de Shakespeare, in Rev. d’Hist. littér. de la France, XXIV (1917), p. 357 segg.; V. Bouiller, La renommée de M. en Allemagne, Parigi 1921: id., M. en allemand: Christoph Boden, in Revue de littér. comparée, XIII (1933), p. 5 segg.; M. L. Belleli, Modernità di M., Roma 1933 (M. nella letteratura francese moderna).
Sul M. in Italia: G. Setti, Tassoni e M., in Miscellanea tassoniana di studi stor. e letter., Bologna-Modena 1908, p. 227 segg.; F. Neri, Sulla fortuna degli “Essais”, in Riv. d’Italia, febbr. 1916, p. 275 segg. (I: Tassoni e M.; II: Le prime traduzioni italiane, la 1ª parte rist. in fabrilia: ricerche di storia letter., Torino 1930, p. 105 segg.); V. Bouillier, La Fortune de M., en Italie et en Espagne, Parigi 1922 (su cui L. F. Benedetto, I “Saggi” e M. e la loro fortuna in Italia, nel Marzocco, 18 febbraio 1923).

Di Ferdinando Neri