Il primo battesimo nel 1972, l’ultimo nel 2004. E negli anni emergono rischi e carenze. Fino al sequestro di 22 cavalcavia
Libero
GIORDANO TEDOLDI
La chiamano l’Incompiuta, come la sublime sinfonia di Schubert: è l’autostrada A20 che collega (dovrebbe collegare) Messina a Palermo, ma che in realtà, partendo dalla città siciliana sullo Stretto, arriva non proprio al capoluogo, ma a Buonfornello, da dove bisogna percorrere altri 50 chilometri dell’autostrada Palermo-Catania per giungere a destinazione. Sono passati 53 anni dalla posa della prima pietra, 49 dall’apertura del primo tratto, e l’A20, l’autostrada più inaugurata di Italia (si contano 16 cerimonie) continua a far parlare di sé, negativamente, è chiaro. Stavolta è per via del decreto di sequestro, emesso dalla procura di Barcellona Pozzo di Gotto, di 22 cavalcavia (anche questo crediamo sia un record) a rischio crollo. In attesa di riportarli in sicurezza (e chissà quanti soldi e tempo ci vorranno) il traffico verrà limitato, come del resto è fisiologico nella storia di questa strombazzata opera stradale, che sembra recare su di sé lo stampo di tutti i mali siciliani.
VUOTA POMPOSITÀ
Alcuni, senza pretendere di essere esaurienti, li possiamo elencare: la manutenzione come ideale irraggiungibile, e infatti la procura ha denunciato quattro persone per omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina. Poi c’è la vuota pomposità, il festeggiare con parole altisonanti opere prima che siano perfettamente efficienti. Al punto che, ripercorrendone la storia, sembra che la A20 sia stata messa in cantiere non per far spostare i siciliani da un capo all’altro dell’isola, ma per tenere vuote celebrazioni. Solo nel 2004 se ne ebbero tre: una a giugno, col viceministro dell’Economia Miccichè, in occasione di una kafkiana posa dell’ultimo “concio”, cioè pietra, dell’ultimo viadotto; un’altra a novembre, quando l’allora ministro delle Infrastrutture, Lunardi, intervenne alla “cerimonia di abbattimento dell’ultimo diaframma della galleria finale”, e con lui c’erano il presidente della Regione e altre autorità. Il culmine lo si toccò a fine dicembre dello stesso anno, quando discese in Sicilia il presidente del Consiglio, Berlusconi, per solennizzare l’apertura dell’autostrada, parziale ovviamente, giacché percorribile in un solo senso di marcia e ancora priva di caselli.
Prima di questi memorabili giorni c’erano già state, tra il 1972 e il 1998, una dozzina di altre inaugurazioni, tutte relative evidentemente a interventi non conclusivi, ma tutte inscenate quasi si fosse dato il tocco finale all’ottava meraviglia del mondo. E in un certo senso la Messina-Palermo è davvero una meraviglia, per lo stupore che produce in chi se ne interessa e in chi ha la sventura di percorrerla, con le sue buche e i suoi gradini particolarmente temuti dai motociclisti, i suoi cambi di corsia improvvisi e non segnalati, il manto stradale deteriorato, i lunghi tratti a una sola corsia nonostante non appaiano cantieri a spiegarne la presenza. E che altro, se non stupore, si può provare nell’apprendere che c’è stato chi si è dato la pena di calcolare la media di avanzamento dei cantieri nella costruzione dell’opera (36 anni di lavori per 183 km), ottenendo il lumachesco risultato di 4 chilometri, 17 metri e 14 centimetri all’anno? Straordinari anche i siparietti polemici, con Bersani che accusava Berlusconi, in quel fatidico 2004, di «tagliare dei nastri che avevamo già tagliato noi». Incredibile: i politici gareggiavano nell’accaparrarsi più inaugurazioni farlocche possibili, non nell’evidenziare che a quei tagli di nastri corrispondevano lavori incompiuti.
NON È FATALITÀ
La verità che i Siciliani che amano la loro terra non vogliono nascondersi, è che il dissesto in cui versa l’autostrada, i viadotti che crollano o che sono sul punto di farlo, come ha scritto il giornalista Giulio Ambrosetti che si è occupato approfonditamente dell’argomento, non sono una fatalità, ma «è assolutamente normale». Basti pensare che l’Anas nel febbraio 2008 presenta un atto di diffida al Cas (Consorzio autostrade siciliane) dove si contesta una “quasi totale assenza di manutenzione” nel periodo dal 2000 al 2008. Se ciò è vero, dove vanno a finire le risorse ottenute dal pagamento dei pedaggi? A questa domanda, mille altre se ne aggiungerebbero, non appena ci si addentrasse nelle ambiguità, negli arbitri, nella mancanza di trasparenza con cui il citato Cas ha gestito l’opera fin dalla sua progettazione, impegolandosi, solo per dirne una, in costosi contenziosi con la società cui aveva prima affidato, poi sostanzialmente sfilato i lavori. Misteri siciliani.
fonte: Libero