Il 2 giugno gli aventi diritto dovranno eleggere il futuro presidente del Messico, che per la prima volta, con ogni probabilità, sarà dunque una donna, oltre a 500 deputati della Camera dei Rappresentanti, 128 membri del Senato e 20.700 cariche dell’amministrazione federale e locale dei 32 Stati, tra cui governatori e sindaci.
Secondo l’Instituto Nacional Electoral (INE), l’organo di controllo elettorale del Paese, domenica, tra le ore 8 e le 18, i messicani voteranno in 170 mila seggi elettorali; in tutto sono circa 100 milioni a essere chiamati alle urne, 11 milioni in più rispetto alle ultime presidenziali del 2018. Sono anche 11 milioni i messicani che vivono all’estero – una delle diaspore più numerose al mondo – che hanno già espresso la loro preferenza col voto anticipato, tenutosi tra il 6 e il 20 maggio, votando online, per posta o di persona presso i consolati messicani. Lo spoglio delle schede comincerà dopo la chiusura dei seggi e l’INE pubblicherà i risultati in tempo reale, fino a quelli definitivi attesi tra il 5 e l’8 giugno.
Un’altra novità di queste maxi elezioni è la formazione di due grandi coalizioni politiche: da un lato quella di sinistra, guidata da Morena, chiamata “Continuiamo a fare la storia”, con il Partito Verde Ecologico del Messico (Verde) e il Partito Laburista (PT). D’altra parte è in lizza la coalizione conservatrice formata da tre partiti – Partito d’Azione Nazionale (PAN), Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) – riuniti sotto la bandiera “Forza e cuore per il Messico”. Il PRI è stato al potere per 71 anni consecutivi, diventando la forza politica dominante del secolo scorso, nonostante corruzione e repressione. Per la scadenza di domenica, si è insolitamente unito al partito conservatore rivale del PAN, che ha messo fine a diversi suoi governi nel 2000. L’outsider è il Movimento dei Cittadini, che si candida per un seggio autonomo al di fuori delle due coalizioni principali. “Questa è una configurazione politica completamente nuova che è il risultato di Lopez Obrador. Avere PRI, PAN e PRD fianco a fianco è un’aberrazione storica. Per gran parte della storia democratica del Messico, questi tre partiti si sono scontrati l’uno contro l’altro”, ha spiegato lo scrittore ed analista politico Carlos Bravo Regidor. Ma la verità è che il presidente uscente AMLO è diventato così popolare che i rivali di un tempo hanno dovuto allearsi tra loro per competere nella corsa presidenziale.
A prescindere dal nome del vincitore delle presidenziali, le sfide del prossimo mandato sono numerose, alcune delle quali storiche mentre altre sono legate all’attualità degli ultimi mesi. I sondaggi mostrano che gli elettori hanno indicato come priorità principali alcune questioni come la sicurezza, i programmi sociali e la corruzione; tematiche che sono state al centro dei tre dibattiti televisivi delle scorse settimane.
Nel Paese tra i più violenti al mondo, anche la stagione elettorale è stata caratterizzata da una lunga scia di sangue, con almeno 34 aspiranti candidati uccisi tra settembre e maggio. Pochi giorni fa, nello stato meridionale del Chiapas, alcuni uomini armati hanno ucciso sei persone durante una manifestazione politica e un candidato sindaco. Il mese scorso due candidati sindaco sono stati trovati morti lo stesso giorno nello stato settentrionale di Tamaulipas. I funzionari hanno accusato i cartelli della droga e la criminalità organizzata per gli omicidi, che hanno in gran parte colpito i politici locali. A questo tragico bilancio si aggiungono nove morti dopo il crollo del palco durante una manifestazione elettorale. (AGI)
Domenica quasi 100 milioni di messicani sono attesi alle urne per le più grandi elezioni mai organizzate nella storia del Paese; e la novità è che so sono due le candidate favorite alle presidenziali, Claudia Sheinbaum e Xochitl Galvez.
Il voto di domenica segnerà la fine della presidenza di Andres Manuel Lopez Obrador, colloquialmente noto come AMLO, considerato uno dei leader più popolari della storia moderna del Messico. Anche per questo motivo, per molti analisti le presidenziali 2024 saranno un referendum sulla sua presidenza. La Costituzione del Messico limita esplicitamente la presidenza a un solo mandato, quale eredità della rivoluzione messicana, combattuta dopo il governo decennale del dittatore Porfirio Diaz. Per questo motivo AMLO non ha potuto candidarsi alla sua successione, nonostante un tasso di popolarità rimasto sempre molto alto, tra l’81 e il 60%. Lopez Obrador è stato costantemente classificato come uno dei leader mondiali più popolari attualmente al potere, anche se la sua elezione nel 2018 è arrivata dopo due tentativi falliti per la presidenza. Ora questa sua influenza potrebbe essere determinante nella vittoria del Movimento di Rigenerazione Nazionale (Morena) e della coalizione di sinistra che punta ad espandere la sua maggioranza nella legislatura. La candidata del partito al potere è Claudia Sheinbaum, scienziata, ex sindaco di Città del Messico, che spera dunque di raccogliere l’eredità di AMLO. Una sfida che la mette a confronto con la rivale Xochitl Galvez, sostenuta della coalizione PRI-PRD-PAN di centro-destra, ex senatrice e imprenditrice di origine indigena Otomi. Finora i sondaggi danno Sheinbaum come favorita alla successione di AMLO, con in media il 49% delle intenzioni di voto, mentre Galvez si attesta attorno al 32%. Il terzo candidato, comunque molto lontano dietro, è il centrista Jorge Alvarez Maynez, del Movimento dei cittadini, fermo all’8%.
Le elezioni generali di domenica in Messico saranno seguite con la massima attenzione nei Paesi dell’America Latina, proprio per il suo peso politico ed economico, a maggior ragione dopo i gravi disordini del mese scorso, quando la polizia ha fatto irruzione all’ambasciata messicana a Quito per arrestare un ex vicepresidente ecuadoriano, Jorge Glas, che vi si era rifugiato. Un intervento che ha portato il Messico e il Nicaragua a rompere le relazioni diplomatiche con l’Ecuador, per la “flagrante violazione del diritto internazionale e della sovranità nazionale” e a rivolgersi alla Corte internazionale di giustizia. La posta in gioco interessa anche Washington, per l’annosa problematica dell’immigrazione illegale di cittadini messicani e di quelli originari da altri paesi del Sud America che transitano in Messico, tentando ogni giorno di varcare il lungo e poroso confine Usa. I critici della presidenza AMLO e del partito Morena hanno espresso disappunto per il loro fallimento nel reprimere la criminalità e affrontare le migliaia di casi di persone scomparse in Messico, che sotto la sua presidenza hanno superato quota 100 mila. Fornire risposte alle famiglie degli scomparsi era stata una promessa su cui Lopez Obrador ha condotto una campagna nel 2018.
In realtà la maggior parte di questi casi di desaparecidos sono stati registrati dopo che il Paese ha lanciato la sua “guerra alla droga” nel 2006, sotto la presidenza del PAN di Felipe Calderon, che si appoggiava a un approccio militarizzato nell’applicazione della legge. Questa strategia aveva invece portato a un’esplosione di violenza, senza riuscire ad arginare il traffico di stupefacenti, portando nel contempo a crescenti denunce di abusi militari, comprese prove di vera e propria collaborazione tra forze di sicurezza e gruppi criminali. Su questo fronte, anche il presidente uscente ha promosso iniziative controverse: ha ampliato il ruolo dell’esercito, coinvolto in progetti infrastrutturali e iniziative di pubblica sicurezza, nonostante le preoccupazioni sulle violazioni dei diritti umani. Per giunta, secondo i critici, AMLO ha promosso iniziative che mirano a diminuire l’indipendenza del sistema giudiziario e dell’organo di controllo elettorale del Paese. Per questo motivo, lo scorso febbraio migliaia di messicani sono scesi in strada nella capitale per protestare contro il presidente, chiedendo un “voto libero”, la “difesa della democrazia”, e accusando il governo di interferire nella campagna elettorale per le presidenziali.
Altrettanto impellenti le questioni legate all’economia, in primis la lotta alla povertà e alle disuguaglianze, all’ambiente e alle infrastrutture. Conosciuto per la sua personalità schietta, AMLO ha fatto della lotta alla povertà un pilastro centrale della sua presidenza. Secondo i numeri diffusi in campagna elettorale da Sheinbaum, l’occupazione è nettamente cresciuta a Città del Messico, anche i salari sono in aumento e, per la prima volta, il tasso di povertà nel Paese è sceso sotto il 40%. Tuttavia ci sono ancora 47 milioni di messicani che vivono in povertà e tutti devono fare i conti con l’inflazione, particolarmente gravosa per l’acquisto di cibo e beni di prima necessità. La candidata di Morena ha promesso di portare avanti le politiche presidenziali di espansione dei programmi sociali e di guida di grandi progetti infrastrutturali come il Treno Maya, una controversa linea ferroviaria che attraversa la penisola dello Yucatan. Di fronte a Sheimbaum, Galvez si è affermata come la candidata della protesta, promettendo di reprimere la violenza e la corruzione con mano dura. Ha più volte criticato Lopez Obrador per aver detto che avrebbe affrontato il crimine attraverso “abbracci, non proiettili”. Inoltre i cambiamenti climatici stanno colpendo duramente il Messico, con ricorrenti ondate di caldo estremo, più pesanti e lunghe, che hanno causato decine di vittime per la grave siccità e gli incendi diffusi.(AGI)