Meritare il Mezzogiorno: prospettive per una vera unità nazionale


Bisogna concentrare le risorse e le progettualità con investimenti mirati per creare nuove filiere industriali nei territori del Sud abbandonati al loro destino

Alfredo Izzo

L’Italia è davvero una Nazione? La domanda è legittima in questo momento storico dove il nostro Paese è governato da chi sostiene questo concetto all’interno del contesto geopolitico il cui orizzonte è chiamato “Stati Uniti d’Europa”. Ad oggi però in Italia non è del tutto reale nemmeno il significato di Nazione, da intendersi come uno stato unitario sia dal punto di vista politico sia economico, termine ormai superato in un mondo globalizzato. La fotografia di questo disagio si rispecchia dal rapporto della SVIMEZ che per il 2023 delinea un Paese che stenta a crescere (0,7% di PIL), una situazione ancor più critica per il Mezzogiorno d’Italia che registra una crescita di appena 0,4% di PIL. Sostanzialmente l’acceleratore economico degli investimenti che sarebbe dovuto essere il volano del PNRR è stato annullato, nonostante i continui annunci del Governo e delle forze di maggioranza. Come sempre a pagarne le spese saranno ancora una volta i cittadini meridionali. Il dato diventa ancora più preoccupante se, così come riporta lo SVIMEZ, la contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali (-2%) è doppia rispetto al Centro-Nord. A questo si aggiunga che il PIL nel 2024 crescerà con molta probabilità dello 0,7% a livello nazionale (+0,7 al Centro-Nord e +0,6 a Sud) e nel 2025 dell’1,2% (+1,3 al Centro Nord e +0.9% a Sud). Una crescita chiaramente che è vincolata all’attuazione del PNRR. Tuttavia l’incremento dell’occupazione, maggiore al Sud che nel resto del Paese, non basta ad alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari, ricordando che in un quadro europeo di crescita dei salari dei singoli paesi UE si ha un dato medio Ocse del 32,5% mentre l’Italia è il fanalino di coda con il suo misero 1 %, dato che deve inevitabilmente far riflettere. Il vero problema, infatti, si può racchiudere in un’espressione che può sembrare un ossimoro: “Lavoro povero”. Cioè quell’attività lavorativa che riguarda perlopiù i lavori usuranti o dal forte contenuto stagionale (si pensi alle attività ricettive e alle diverse difficoltà di varie fattispecie nella procedura di reclutamento del personale) che in un contesto di forte crescita dell’inflazione e relativa perdita del potere di acquisto dei salari comporta un fenomeno di depressione economica e sociale. Lavorare senza creare le condizioni per vivere bene e poter programmare un futuro: è questo il vero dramma per le generazioni giovani ma anche meno giovani nel Meridione. Nel Mezzogiorno la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7% tra il 2020 e il 2022, precisamente dal 7,6% fino al 9,3%, dunque quasi 1 su 10. In generale negli ultimi dati disponibili relativi al 2022 indicano come siano 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: 250.000 in più rispetto al 2020, mentre sono in netta diminuzione con -170.000 al Centro-Nord. Questo fenomeno di forte contrazione socioeconomica è ancora più acuito dall’emigrazione decenni scomparire sta giovanile, i lentamente piccoli che centri ormai facendo meridionali da a favore delle metropoli a forte espansione urbanistica come ad esempio Milano. Lo smart working dai piccoli centri è insostenibile, in primis per la mancanza di una connessione in fibra nella totalità della penisola oltre che per l’assenza di veri e propri centri di coworking dislocati in aree non metropolitane. Per recuperare credibilità e consenso nei territori la politica deve proporre un modello di crescita sostenibile sia ambientale che sociale concentrando le risorse e le progettualità con investimenti mirati per creare nuove filiere industriali nei territori del Sud abbandonati al loro destino. Cosa può fare concretamente la politica nel breve-medio periodo? Abbandonare ogni tipo di misura assistenziale come “il fu” Reddi-* to di Cittadinanza, promuovendo un concetto riassumibile in “per ogni euro speso in assistenza al cittadino, deve essere speso un euro per detassare il lavoro e gli investimenti nel Sud del Paese” (si escluda dal concetto di assistenza quella meramente sanitaria alla quale si potrebbe dare una svolta con MES sanitario). L’auspicio è avere un “Piano per il lavoro” sia per il pubblico dove enti privato sono locali ponendo in e perenne il comparto alla affanno, base sanitario degli sia investimenti pubblici e privati interessando filiere diverse da quella turistico-culturale, nella quale l’unico correttivo da proporre al Sud come al Nord sia l’adeguamento salariale per il personale di strutture ricettive e della ristorazione agli standard dell’Unione Europea. Dunque la strada è già stata tracciata da decenni con una celebre frase del Presidente Pertini: “Il problema del Mezzogiorno non può essere considerato soltanto un problema di quelle regioni: deve essere considerato un problema nazionale se lo si vuole risolvere”. La classe politica italiana vuole risolverlo? Ai posteri l’ardua sentenza, a noi l’ambizione di cambiare davvero le cose.

fonte: Il Riformista